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Villa bunker vandalizzata dopo la confisca: ecco perché sono stati assolti i Cava

Depositate le motivazioni della sentenza dei giudici della Prima Sezione della Corte di Appello di Napoli che l’undici scorso hanno mandato assolti quattro familiari del defunto boss Biagio Cava accusati di furto e devastazione della ex villa bunker di Via Nazionale, confiscata nel maggio 2015 dopo la sentenza emessa dalla Cassazione nel maxiprocesso contro il clan Cava.

I giudici di secondo grado hanno completamente ribaltato la decisione del Tribunale di Avellino. Accolti dai magistrati i motivi di Appello presentati dalla difesa degli indagati, a partire dal penalista Raffaele Bizzarro (che difendeva tutti i familiari di Cava), l’altro imputato era difeso dall’avvocato Rolando Iorio. In primis la mancanza dell’elemento psicologico della commissione del furto aggravato. Per i giudici infatti: “non vi è prova certa della sussistenza dell’elemento soggettivo, cioè della consapevolezza da parte degli imputati di asportare cose altrui”.

Come si spiega questa convinzione? La sentenza rileva che “vi sono plurimi elementi che fanno dubitare la Corte della sussistenza dell’elemento psicologico cioè della piena consapevolezza degli imputati di asportare cose altrui, perché ormai facenti parte del patrimonio dello Stato in seguito alla confisca della villa. In primo luogo, come già detto, il trasloco avviene la sera stessa della pronuncia della sentenza della cassazione, non si tratta di un trasloco clandestino ma realizzato sulla pubblica via, e da tutti visibile, tanto è vero che il trasloco in atto è visto, ed è oggetto di apposita relazione (quella da parte di un ispettore del Commissariato di Ps di Lauro”.

E quindi, due elementi che depongono per la mancanza di responsabilità sul furto aggravato sono rappresentati, come sottolineato nella memoria difensiva dal fatto che la stessa “Cava Felicia informa con un telegramma l’amministratore giudiziario Di Stasio di aver lasciato la villa libera di persone e cose; quindi è la stessa Cava Felicia a precisare che lei e il suo gruppo familiare si sono portati via tutte le cose. Per massima di esperienza chi ruba una cosa non lo dice in maniera espressa, ma tende a nasconderlo. Infine, come sottolineato nell’appello, i beni asportati sono stati trovati, nella stragrande maggioranza, nella disponibilità degli stessi imputati, in particolare in un garage, adibito a deposito, facente capo ad uno dei due fratelli Galeotta Lanza, adiacente alla sua abitazione. Per massima di esperienza chi ruba una cosa tende a nasconderla, e non la mette in un luogo pienamente accessibile in caso di indagini di PG”. Per quanto riguarda il danneggiamento, invece, c’è un particolare che ha determinato i giudici a non poter valutare sussistente l’ipotesi “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Ed è legata alla tempistica di comunicazione dell’abbandono della casa stessa e al primo sopralluogo della Polizia che aveva accertato la vandalizzazione: “la villa è stata lasciata dagli appellanti la sera stessa della pronuncia della sentenza della corte di cassazione, cioè il 19 maggio 2015, mentre il primo sopralluogo di PG, in seguito al quale si constata il danneggiamento dell’immobile, è avvenuto il 5 giugno 2015, cioè a distanza di 17 giorni, dal che consegue che la villa è stata alla mercé di tutti per questo – non breve – periodo. È bensì vero che vi è un elemento indiziario di un certo rilievo a carico degli imputati: essi hanno l’interesse a vandalizzare la villa a titolo di reazione, o di rappresaglia, nei confronti dello Stato che gliel’ha confiscata. Tuttavia, esso non è tale da fondare una pronuncia di condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”, perché risulta contrastato dalla ricostruzione alternativa fornita dal difensore appellante”.

La tesi proposta dal penalista Raffaele Bizzarro era semplice, ed è stata così recepita dai giudici della Corte di Appello di Napoli: “durante il lungo lasso di tempo intercorso tra abbandono della villa e primo sopralluogo di PG, terzi possano essere penetrati e aver distrutto la villa, in particolare tra questi terzi l’appellante individua il clan, o i clan, rivali di quello di cui fanno parte gli appellanti (il territorio è tradizionalmente infiltrato da criminalità organizzata): i terzi potrebbero aver agito così, vuoi per addossare la colpa del danneggiamento agli appellanti, vuoi a titolo di sfregio nei confronti della casa che era stata una volta il bunker degli imputati”.

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