VIDEO/ Avellino ricorda Falcone e Borsellino, il procuratore Cantelmo: “La speranza per i giovani è in una vecchia Panda blu”

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Fabrizio Nigro – Anche Avellino si è riunita nel ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in occasione della giornata della memoria del 23 maggio dedicata ai magistrati uccisi nel ’92 dagli attentati degli uomini di “Cosa Nostra”. 

Quella di Capaci non fu certo la prima, e nemmeno l’ultima, di una scia di sangue infinita fatta di morti innocenti, ma rappresentò lo spartiacque tra un’epoca di sottomissione ed un epoca di riscatto, in cui la società civile italiana manifestò pubblicamente il proprio disprezzo per gli aguzzini, e la propria indignazione per uno Stato dalle mille pieghe oscure.

Ma cosa resta oggi, in questa società, a 25 anni dalle stragi di via Capaci e via D’Amelio?

“Senz’altro l’afa intollerabile che un sano vento di Libeccio non è ancora riuscita ad allontanare”- ha ammonito il Procuratore della Repubblica Rosario Cantelmo – citando le parole di Paolo Borsellino – nel corso del suo intervento tenuto presso il Circolo della Stampa di Avellino.

Nel contesto sociale odierno, fatto di mille soprusi e di facili compromessi, il compito resta quello di sconfiggere l’indifferenza. Per questo, Cantelmo ha ritenuto doveroso porgere un omaggio ed un ricordo anche ad altre figure cardine della lotta alla mafia, a partire da uomini di chiesa come Don Peppe Diana e Don Pino Puglisi, vittime e martiri della stessa follia criminale.

Quello dell’indifferenza, del resto, è un concetto che il procuratore Cantelmo ha potuto toccare con mano nel corso della sua lunga carriera da magistrato.

“Quando lavoravo all’antimafia di Napoli mi capitò di recarmi sul luogo di un omicidio – ha raccontato – Si trattava di un giovane che sarebbe dovuto essere gambizzato dalla criminalità locale ma che, per un puro caso del destino, fu invece trafitto da un proiettile mortale. Il corpo del ragazzo era ancora a terra, in una pozza di sangue, quando fu circondato da tante persone, molte delle quali con i figli in braccio, mentre altre si erano affacciate senza scomporsi dai balconi. Era soltanto il solito morto, la stessa scena, il solito sabato sera nel solito Comune. Chiesi dunque ad una persona del posto come fosse possibile sopportare una visione così cruda con tale indifferenza, e mi fu risposto che la camorra a Napoli è un po’ come il Vesuvio, perché fa parte della vita delle persone che ormai hanno imparato a conviverci. Tra gli altri aneddoti – ha aggiunto – ricordo anche quello di una giovanissima ragazza che ebbe l’ingrato compito di riconoscere il cadavere del padre sul ciglio di una strada. La giovane aveva appena trascorso una serata in compagnia degli amici e, recatasi sul luogo dell’omicidio, chiese ad un agente di potersi avvicinare al corpo del congiunto. Si chinò dunque sul sul cadavere del padre sporcandosi di sangue, che si cosparse sul petto in un ultimo e disperato segnale di affetto e di dolore”.

Ma la lotta alla mafia passa soprattutto dalle azioni degli onesti, attraverso il momento principe di espressione della volontà popolare che è quello rappresentato dal voto. Cantelmo ha dunque fatto appello ai giovani, affinché sentano forte la responsabilità delle proprie scelte, ricordando storie di corruzione politica che hanno interessato i più alti gradi delle istituzioni. Vicende che, a dirla tutta, sono spesso rimaste tra le pieghe giudiziarie di un Paese ancora troppo acerbo.

Ma c’è speranza per il futuro, e Cantelmo ha voluto segnalarlo attraverso il toccante racconto di due storie, quelle di due giovani provenienti dalle stesse zone di malavita, ma con due prospettive differenti.

“Qui andiamo incontro soltanto alla morte, quello che ho visto nei miei vent’anni di vita già mi basta, perché adesso sono già morto” – queste le parole pronunciate nel corso di una vecchia intervista da un giovane di Ottaviano, patria della Nuova Camorra Organizzata, che il procuratore ha voluto ricordare come triste esempio di resa e di rassegnazione.

Quella speranza che oggi, metaforicamente, sta tutta in una vecchia Panda blu: “mi piace raccontare la storia di un ragazzo di Scampia, incontrato nel corso di un convegno, che viveva una condizione di disagio tale da vergognarsi persino di invitare i propri amici a casa. Ai piani alti del suo palazzo – una delle note ‘vele’ del quartiere – vivevano i signori della droga. I loro erano appartamenti erano lussuosi, e costoro potevano permettersi di viaggiare su costose automobili di grossa cilindrata. Tuttavia si trattava di una prigione dorata, perché per loro sarebbe stato fatale addentrarsi al di fuori delle aree a loro designate dalla malavita. Il ragazzo mi raccontò di avere soltanto una vecchia Panda blu, prossima alla rottamazione, ma con la quale si sentiva libero di andare ovunque volesse. Quella Panda rappresentava il suo riscatto, la sua possibilità di salvezza. Per questo, mi piacerebbe che tutti i giovani avessero la possibilità di salire su quella Panda, unico mezzo necessario per rincorrere e realizzare con onestà i propri sogni”.