Approfittando dell’apertura dell’Abbazia di Loreto ed in particolare dal fatto che per la prima volta venisse mostrata al pubblico la Sala degli Stemmi, mi sono recato lì in compagnia di alcuni soci dell’ Accademia dei Dogliosi di Avellino.
Enorme é stato l’afflusso di visitatori da Avellino e da altre località della Campania. Ho avuto la fortuna di incontrare nell’atrio l’autore dei dipinti della volta della sala, l’arch. Giuseppe De Luca di Avellino. Ho rivolto all architetto i miei complimenti per l’eccellente realizzazione dell’opera e lui mi ha illustrato come si é trovato ad effettuare l’encomiabile lavoro.
Queste le sue parole: “Nel 2007 fui contattato da Padre Andrea Cardin, all’epoca economo di Loreto, non rivestiva ancora la carica di direttore della biblioteca di Montevergine essendoci ancora tra noi il compianto Padre Placido Tropeano. Con Padre Andrea c’è un’ amicizia di vecchia data; quest’ultimo, venuto a conoscenza della mia passione per le arti decorative, volle mettermi alla prova, proponendomi di decorare la volta, assolutamente spoglia di ogni elemento del genere, della restauranda sala del parlatorio, con la dipintura di alcuni stemmi. L’incarico per me divenne presto una sfida e l’idea di semplici stemmi si trasformò in un progetto molto più ambizioso che fosse consono al decoro settecentesco del palazzo abbaziale di Loreto. Preparai un bozzetto accurato, in scala, del progetto decorativo e lo sottoposi al Padre che, entusiasta, mi chiese di mettermi subito all’opera.
Il restauro dell’attuale salone degli stemmi, già sala del parlatorio, ormai alquanto fatiscente, si rese necessario per dotare il palazzo abbaziale di Loreto di Montevergine, di un ambiente più dignitoso e di rappresentanza, atto ad accogliere gli ospiti nella immediata contiguità dell’ingresso principale del palazzo. Si promosse quindi in favore di ciò , tutta una serie d’interventi, funzionali e di decoro, cominciando con la riapertura dell’ingresso originario del salone, rimasto murato per decenni, dato che all’accesso dello stesso provvedevano due ingressi minori, il primo direttamente dalla saletta del portinaio ed il secondo che immetteva in una serie di ambienti attigui di più modeste dimensioni. Restaurato il bel portone settecentesco in castagno, oltre che gli infissi esterni, si è provveduto a murare i due piccoli ingressi, conferendo al salone la dignità più palese di un ambiente che non fosse intercomunicante con altri. Dalle nicchie così risultate dalla chiusure dei due ingressi, si ricavarono due vetrine per l’esposizione di argenterie e porcellane pregiate, e abbellite nelle sovrapporte da opere di mia creazione, raffiguranti due vedute antiche del monastero. Si è passato poi a rimuovere il vecchio pavimento, originariamente in tipiche mattonelle di colore verde, sostituito da un pavimento in porcellanato in polvere di marmo giallo di Siena. Le pareti invece, sono state tappezzate con un damasco di seta azzurro.
Il programma più squisitamente decorativo a me affidato, della sala e del quale accennavo in principio, è costituito dalla decorazione dipinta eseguita ex novo sull’intonaco della originaria volta ad incannucciata settecentesca in precedenza priva di qualsiasi intervento del genere. La tecnica pittorica usata è quella della tempera a secco, eseguita con gli ossidi e le terre colorate, gli stessi pigmenti usati dai decoratori del passato. Il tema compositivo di tale decorazione è ispirato alla pittura decorativa del settecento napoletano, la cromia è giocata tutta sui colori del giallo ocra e del verde smeraldo, giallo ocra in armonia con il pavimento e con parte delle tappezzerie color oro della sala che assieme all’azzurro del damasco delle pareti vuole far riferimento ai colori borbonici. Tornando alla composizione, la decorazione è pensata a guisa di una illusionistica cupola con aperture che sfondano a cielo aperto a mo’ di “ trompe l’ oeil”, in tale struttura architettonica sono incastonati come gioielli alcuni stemmi. Nella parte curva della volta si distinguono, tra putti che giocano con festoni, i blasoni reali dei Borbone di Napoli e della Casa Sabauda in riferimento alle due ultime case regnanti di Napoli con le quali Montevergine ebbe strette relazioni. A questi blasoni si contrappongono lo stemma generale abbaziale e quello personale dell’abate corrente, fanno corona a questi le allegorie delle Virtù Teologali e Cardinali più l’allegoria della Grazia come uno dei doni dello Spirito Santo, mentre negli angoli della volta, alcune torce simbolo della sapienza e della conoscenza pentecostale illuminano cascate di frutta e fiori fuoriuscenti da bucrani, in segno beneaugurate di prosperità. Le architetture illusionistiche proseguono quindi nella parte piana della volta; anche qui si distinguono alcuni stemmi: sono quelli degli ultimi otto abati sublacensi, in più fanno bella mostra di sè i quattro stemmi di alcuni degli abati antichi che più hanno caratterizzato la storia del palazzo e della comunità monastica: l’abate Federici, l’abate Letizia, l’abate Iacuzio e quello dell’abate De Cesare ultimo abate Verginiano. Al centro della volta, tra vasi fioriti, si apre l’apertura maggiore di questa illusionistica cupola, attraverso la quale campeggia nel cielo la Vergine Assunta cui un angelo porge un medaglione con l’effige di Mamma Schiavona, mentre un altro angelo regge uno svolazzo che reca una scritta in latino inneggiante alla Vergine. Tutta la scena è poi contemplata in basso da S. Guglielmo”.
Finite le belle parole dell’ arch. Giuseppe De Luca, resta in tutti noi lo stupore e la meraviglia dinanzi ad un’ opera che, al tempo stesso, pur rappresentando temi sacri e solenni, e’ un misto di bellezza antica ed originalità di esecuzione. Tanto è vero che innumerevoli persone presenti hanno immaginato che l’ opera fosse antica e frutto, oggi di un mero restauro, non credendo che si potessero realizzare ancora opere così simili alle antiche. L’ intera opera, in tutta la sua realizzazione, durata più di un anno e mezzo, è frutto della maestria e della sensibilità artistica dell’ autore, l’ arch. De Luca. L’ artista, tiene a precisare che durante l’ intera esecuzione dei lavori, e’ stato sempre supportato ed incoraggiato dalla comunità monastica benedettina tutta ed in particolare dal padre Andrea Cardin e dal compianto don Placido Tropeano, ai quali va la gratitudine per aver arricchito il complesso monumentale di Loreto di questa nuova opera così prestigiosa ed ammirata.
Da parte mia e di tutti i Soci dell’ Accademia dei Dogliosi va un sentito grazie all’ autore dell’ opera e l’ auspicio di nuove committenze artistiche.