Verde come l’Anthemis, goccia di smeraldo dei Benedettini di Montevergine

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Nel gonfalone della città di Avellino è raffigurato l’agnello pasquale con banderuola, adagiato su di un libro rilegato di rosso, ritagliato d’azzurro e poggiato su una distesa di verde. Ora il docile animaletto non sembrava adatto a raffigurare la virilità di una squadra di calcio, d’altronde il club fondato nel 1912 ha più tifosi nella provincia che nel capoluogo stesso e quale animale simbolo migliore del lupo irpino per rappresentare i colori della prima squadra della città.

Il lupo, in realtà, ha fatto la sua prima apparizione solo nel 1977, quando il presidente Arcangelo Iapicca incaricò l’architetto Quirino Sgrosso di progettare uno stemma per le divise ufficiali. L’anno seguente fu Serie A, per la prima volta nella storia dell’Avellino, e a nessuno sarebbe mai potuto venire in mente di cambiare quel logo portafortuna, tanto che quell’anno fu seguito dallo splendido storico decennio e Gianni Brera definì la squadra irpina come la più bella realtà del calcio di provincia fino agli anni ’80.

Il perché del lupo, simbolo dell’Irpinia, lo abbiamo già spiegato ricordando come quel termine Hirpus in lingua osca si riferisca proprio al feroce animale, ma perché il bianco ed il verde?

L’Avellino è stata la prima squadra ad indossare la maglia biancoverde in massima serie, colore che la rappresenta nell’immaginario collettivo degli appassionati di calcio, tuttavia le maglie acquisirono il caratteristico colore verde solo nel 1947.

Era il 23 febbraio ed era l’immediato dopoguerra, prima di quella data la divisa dei lupi era di colore bianco – tinta facilmente reperibile – anche se quel candido white si alternava spesso con il rosso-nero e con il giallo-rosso.

Come detto era il 23 febbraio, il campionato era quello di Serie C della Lega Sud, girone B, le uniche due squadre campane inserite nel lotto erano Benevento e, appunto, Avellino. Prima degli anni ’20, molto più di ora, il derby era contrassegnato da episodi di violenza, di contrasti, tanto che si andava spesso fuori dalla mera sfera calcistica.

anthemis
Il liquore Anthemis

Era il 23 febbraio, o meglio era qualche giorno prima del 23 febbraio, e nei due capoluoghi non si parlava d’altro, di quale città fosse migliore tra le due e si parlava anche di liquore, qual era il più dolce, il famosissimo Strega, della famiglia Alberti di Benevento, o l’Anthemis, la leggendaria goccia di smeraldo, prodotta dai padri Benedettini dell’abbazia di Montevergine?

Arriva dunque il 23 febbraio e le due squadre scendono in campo rispettivamente con i colori che identificavano i due distillati: verde (con colletto bianco) per l’Anthemis e giallo per lo Strega. Quel giorno vinse il Benevento per 1-0, ma quel 23 febbraio passò alla storia per essere il giorno in cui il colore verde identificò per sempre le maglie dell’Avellino Calcio.

Ovviamente la vicenda non viene confermata del tutto dalle fonti beneventane e della storia c’è anche la versione più poetica che fa derivare la scelta dei colori al verde dei monti che circondano la valle di Avellino e i bianco della neve che li ricopre d’inverno.

Più o meno le storie possono anche combaciare, perché sempre secondo la leggenda, quel liquore dal gusto forte e delicato di produzione monastica trova le sue origini in un piccolo fiore profumato situato sulla sommità del Partenio. A rendere ancora più favolistica la storia è il presunto potere dell’Anthemis, che scaccerebbe la malasorte degli stregoni.

Infine un’ultima versione vuole che fu il presidente Annino Abate a scegliere quel colore, perché gli ricordava la sua terra e nessun altro colore avrebbe potuto rappresentare la squadra di Avellino, capoluogo di un territorio verde per antonomasia: “la verde Irpinia”, piccola Irlanda dell’Italia meridionale.

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