SAN MARTINO VALLE CAUDINA- “Ho parlato con lo stesso imprenditore. Marino lo chiamava ma lui non rispondeva e mi diceva: non riesco a contattarlo, vedi se ci riesci tu”. Si sarebbe limitato a questo contatto il rapporto tra Clemente Caliendo, imputato davanti al Tribunale Collegiale di Avellino di usura e l’imprenditore di Airola che ha denunciato di essere finito vittima di un’attività usuraria da parte di persone legate al clan Pagnozzi. Nella vicenda giudiziaria nata dalle indagini dei Carbinieri del Nucleo Investigativo di Avellino sono stati coinvolti anche Gerardo Marino (condannato in primo grado dal Gup di Napoli per gli stessi fatti), cognato del defunto boss Pagnozzi, ma sicuramente rispetto alla posizione del terzo indagato (per la stessa vicenda e’ stato assolto dal Gup Paolo Pagnozzi), Questa mattina Clemente Caliendo, che ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario, difeso dall’avvocato Valeria Verrusio, si è sottoposto all’esame da imputato. Quello condotto dal procuratore aggiunto Francesco Raffaele, che aveva coordinato le indagini da sostituto della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (l’aggravante del 416 bis e’ poi stato escluso). Rispondendo alle domande del suo difensore, Caliendo ha precisato di non sapere nulla dei soldi dati in prestito con tassi usurari alla vittima, anzi a precisa domanda dell’ avvocato Verrusio sul fatto che: “Marino le ha mai riferito si aver prestato soldi all imprenditore?”, Caliendo ha risposto: “No, mai. L’ho saputo in Tribunale, quando Marino mi ha detto: mi accuso tutto io”. E ha anche aggiunto: ” Marino quando veniva a casa diceva che non aveva soldi per mangiare, poi dicevano che dava soldi ad interesse. So solo che mia moglie gli diceva: se non puoi mangiare fai la domanda per il reddito di cittadinanza”. E ha anche spiegato di aver prestato dei soldi allo stesso imprenditore, che aveva ricevuto però dopo una settimana. In aula e’ stato ascoltato, come teste della difesa anche il genero di Caliendo, che aveva lavorato nel cantiere di Benevento come imbianchino, da settembre 2019, come ha spiegato lo stesso “in nero” e poi “sono stato assunto quattro mesi e ho lavorato per qualche annetto. Eravamo in tre più Marino in quattro. Da febbraio a maggio 2019 sono stato assunto”. Ma proprio sul ruolo di Marino nel cantiere, ovvero se si trattasse di un subappalto e quindi non di un contratto di lavoro subordinato o di un lavoro da operaio, e’ stato incalzato dal Procuratore Raffaele, che gli ha sottoposto anche una sorta di contratto di subappalto con la sua firma, che il testimone però non ha riconosciuto. La chiusura dell’istruttoria e molto probabilmente anche la discussione e la sentenza ci sarà il prossimo 4 ottobre.