SAN MARTINO VALLE CAUDINA- Tre anni di reclusione con le aggravanti contestate ritenute equivalenti alle attenuanti generiche e disapplicando la recidiva specifica per Clemente Caliendo, difeso dall’avvocato Valeria Verrusio, imputato di usura aggravata in concorso con il cognato Gerardo Marino (condannato in primo grado a sei anni e otto mesi di reclusione con il rito abbreviato) e Paolo Pagnozzi, figlio del defunto boss Gennaro, assolto per questi fatti in sede di abbreviato davanti al Gup del Tribunale di Napoli Parrella. Il verdetto dei giudici del Tribunale collegiale di Avellino (presidente Sonia Matarazzo, a latere Fabrizio Ciccone e Michela Eligiato) e’ giunto nel tardo pomeriggio di ieri, quando dopo circa due ore e mezza di camera di consiglio e’ stato letto in aula il dispositivo della sentenza. Le motivazioni saranno note tra 90 giorni. Al termine della sua requisitoria, il Procuratore Aggiunto di Avellino Francesco Raffaele, che tra l’altro nel 2021 aveva anche coordinato le indagini sul clan Pagnozzi dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino che hanno portato alle misure cautelari nei confronti dei tre (Pagnozzi, difeso dagli avvocati Giuseppe Milazzo, Immacolata Romano e Giovanni Adamo era stato scarcerato dal Tribunale del Riesame e assolto in abbreviato) aveva invocato per Caliendo una condanna a cinque anni di reclusione.
LE ACCUSE
La ricostruzione del quadro accusatorio e’ stata riproposta ieri nel corso della sua requisitoria dal pm antimafia Francesco Raffaele, che ha ricordato come il processo nascesse da uno stralcio della più ampia inchiesta condotta dall’Antimafia di Napoli e dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino sull’omicidio di Orazio De Paola, avvenuto a San Martino Valle Caudina. Dopo il delitto non erano finiti sotto controllo solo i cellulari di familiari dell’omicida del boss, ovvero Gianluca Di Matola, ma anche di esponenti del clan Pagnozzi. Tra queste un’utenza in uso a Paolo Pagnozzi. Da queste intercettazioni era emerso il frequente contatto con Gerardo Marino, cognato di Caliendo e zio di Paolo Pagnozzi. E proprio allargando anche a Marino le captazioni da parte dei Carabinieri era emersa la vicenda di un imprenditore di Airola, che nel novembre del 2018 aveva commissionato alcuni lavori di pitturazione per cinque appartamenti realizzati a Benevento alla ditta di Marino. Dal quale, in un momento di difficoltà economiche, si sarebbe fatto consegnare una somma di seimila euro a fine 2018, per cui versava una percentuale di interesse del 10% mensili (600 euro) che non venivano però compresi nel “capitale”, immutato fino alla consegna dell’intera somma. A fronte di seimila euro versati nei primi mesi del 2019, l’imprenditore fino al febbraio del 2021 ne aveva già sborsato 16mila. La vicenda ricostruita grazie alle intercettazioni telefoniche, molte delle quali richiamate ieri nella requisitoria del Procuratore Aggiunto Raffaele. Clemente Caliendo in almeno due occasioni avrebbe ricevuto il rateo dell’usura. Per la Procura avrebbe concorso pienamente nell’attività illecita con il cognato Marino Gerardo
IL PROCESSO
La presunta vittima è stata ascoltata in aula, confermando quasi tutto quello che aveva raccontato ai pm in tre diversi interrogatori resi durante l’indagine. Anche se non aveva dato certezze sulla circostanza che Caliendo fosse consapevole della illecita entità del denaro. Lo stesso imputato ha spiegato che avrebbe saputo solo dopo l arresto dal cognato che si trattasse di una vicenda illecita e che Marino gli aveva garantito: mi accuso tutto io. I rapporti con l’imprenditore erano solo legati ad una vicenda di crediti vantati dal genero di Caliendo che aveva lavorato per l’impresa di pitturazione nel cantiere di Benevento dove Marino aveva ottenuto i lavori. Alla fine un concorso (sarà noto nel momento del deposito delle motivazioni con quale ruolo) di Clemente e’ stato riconosciuto dai giudici. Quasi certo che la difesa proporrà ricorso in Appello.
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