Renato Spiniello – Avellino, Mercogliano, Monteforte, Serino, Montella, Bagnoli, Cassano, Chiusano San Domenico, Montemiletto, Pratola Serra, Altavilla e altri comuni limitrofi. E’ in queste zone che, secondo gli inquirenti, operava il nuovo clan Partenio, quello nato dalle ceneri del clan Genovese prima e Partenio poi. Due i bracci del sodalizio criminale, quello di Mercogliano (il vero braccio armato del clan), facente capo a Pasquale Galdieri detto O’ Milord, e quello economico, che si occupava della cassa e di settori quali le aste giudiziarie.
I dettagli sono spiegati nella lunghissima ordinanza (quasi 900 pagine) di misura cautelare firmata dal Gip del Tribunale di Napoli Fabrizio Finamore, su richiesta della Dda partenopea, ma le indagini sono partite dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino coordinati dalla locale Procura della Repubblica, diretta dal Procuratore Rosario Cantelmo.
Il clan si finanziava mediante le attività illecite di estorsioni e usura, ma anche rilasciando concessioni e autorizzazioni amministrative, acquisendo appalti e servizi pubblici. Una struttura ben definita secondo il giudice, che prevedeva anche “capizone” come per esempio Ernesto Nigro detto Ciambone: lui stesso si definiva “il boss dell’Alta Irpinia”. Compito di quest’ultimo, oltre ad individuare imprese a cui esercitare la forza estorsiva della consorteria criminale, era quello di cercare nuovi affiliati con lo scopo di fagocitare nuovi accoliti e seguaci e sostituire e ricambiare i vecchi associati.
Le mani del clan, i meglio i suoi tentacoli si estendevano sempre più in maniera olistica nel territorio irpino, lambendo l’Alta Irpinia, la vera novità emersa dall’inchiesta.
Un vero e proprio incubo per le vittime, trattate come “animali da mungere” allo scopo di approfittare della deficitaria situazione economica per estorcere quanto più denaro possibile. Come nel caso di un ex operaio e muratore di Montemiletto, attualmente disoccupato. L’uomo, aggravato da difficoltà finanziarie, contrae un debito di 1.500 euro con il clan per il quale versa rate mensile da 300 euro che rappresentano un interesse usuraio del 20%, fino ad arrivare alla cifra complessiva di 2.100 euro. Debito saldato da quest’ultimo, come dimostrano le informazioni che i Carabinieri di Avellino hanno raccolto in un garage di via Dalmazia, in città, dove è stato rinvenuto il brogliaccio del sodalizio criminale.
Un altra vittima, sempre di Montemiletto, escussa dai Carabinieri ma molto reticente all’inizio vista la pericolosità del clan, racconta la sua di vicenda, di come i contatti avvenivano prima al bar Prestige di Montemiletto e poi al bar Moccia di Pianodardine. Qui l’incontro con l’affiliato che successivamente gli consegna i soldi di cui aveva bisogno: 2.000 euro in contanti per cui il giorno 20 di ogni mese – e per le successive 12 mensilità – doveva versare la cifra di 400 euro.
“Sono sempre stato puntuale nei pagamenti” racconta l’uomo ai Carabinieri che gli chiedono se avesse o meno ricevuto minacce. Gli inquirenti si sono dovuti trovare a indagare in un contesto di forte omertà e reticenza, come testimoniano le seguenti intercettazioni:
“Tu hai capito che se scappa una cosa o a te o a me, li vanno ad arrestare subito, li vanno a prendere e li buttano dentro. Però sai qual è il problema? Che dopo che li mandi in galera ce ne stanno altri sette che ti buttano dentro il secchio dell’immondizia. Tu fai arrestare questi e ce ne stanno altri sette come questi che pretendono i soldi. Per farli andare in galera ce ne stanno altri sette. Tu non li conosci allora ti acchiappano e ti tagliano la testa, gambe e piedi”.
Oppure…
“Vuoi campare cent’anni? Devi sempre dire no. Tu vuoi campare 100 anni in più? Vuoi stare in mezzo alla strada con le gambe dritte? Se ti vuoi trovare nel secchio dell’immondizia e non ti trovano più sono cazzi tuoi”.
Solo alcuni degli avvertimenti che le vittime si rivolgevano. Avvertimenti intercettati e registrati dai Carabinieri.
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