Tornatore all’Unisa: “Bisogna distillare un sentimento e usarlo come bussola del proprio lavoro”

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Una masterclass ricca di emozioni e spunti di riflessione, quella tenuta oggi presso l’Università degli Studi di Salerno dal regista Giuseppe Tornatore, che ha regalato ai presenti nel Teatro di Ateneo una profonda lezione di cinema e di vita.

“Sono davvero contento di essere tornato nel Campus, e sono commosso dall’affetto che mi è stato dimostrato, non ho preparato nessun discorso, per questo mi limiterò a rispondere alle vostre domande”

Così Giuseppe Tornatore, vincitore di un Oscar, quattro David di Donatello e un Golden Globe, ha dato inizio alla sua conferenza con il pubblico che ha affollato il Teatro dell’Unisa per assistere all’incontro organizzato da Davimedia.

Mi piace cambiare, ma non ho un desiderio di cambiamento assoluto. Mi piace cambiare le storie, e le storie mi portano su strade diverse, mi diverte intraprendere nuovi percorsi perché rende più interessante il mio lavoro. Mi fa paura produrre dei film che si assomigliano. Mi piacciono i salti nel vuoto, rimettere in discussione tutto, perché voglio sentirmi sempre alle prese con un progetto come se fosse la mia opera prima, ti restituisce la trepidazione e la paura di affrontare nuove sfide.

La paura è il miglior amico della creatività. 

Quando inizi a girare c’è il rischio di perdersi in tutte le componenti […] a un certo punto devi distillare un sentimento e usarlo come bussola del tuo lavoro per salvare la tua storia, o almeno il senso di essa.

Una volta entrati nel vivo dell’incontro, è stato impossibile non parlare dell’ultima produzione cinematografica di Tornatore: “La corrispondenza”, un’elegia dell’assenza che celebra la malinconia di un amore impossibile. 

Questo film gioca sulla distanza, sulla sottrazione, sul concetto di mancanza, tutto si basa sull’immaginazione dello spettatore, che vede i due amanti in una sola sequenza. Sa che c’è un trascorso, ma non lo vede materializzarsi sulla scena, se non attraverso i mezzi che la tecnologia mette a disposizione dei protagonisti per comunicare.

L’amore è il pretesto che muove una storia più profonda, fatta di assenze che diventano presenze proprio in quanto tali. Il sentimento si sublima e si eleva all’eternità attraverso questa distanza mai colmata.

Non ho fatto un film sui massimi sistemi, però mi piaceva utilizzare il discorso delle stelle che continuano a essere visibili ai nostri occhi anche miliardi di anni dopo la loro morte, come allegoria del sentimento d’amore, che talvolta riesce ad essere più percepibile e più forte proprio quando è condizionato dalla distanza. Nello schema delle più grandi storie d’amore che la letteratura ha raccontato, la grandezza di quelle storie coincide quasi sempre con l’impossibilità che quell’amore possa avere vita facile. C’è sempre un ostacolo che determina una distanza o la minaccia di una distanza, con tutto ciò che il concetto comporta: assenza, incomprensione, distacco.

“L’amore non è cieco, è solo presbite. Più ti allontani più lo capisci.”

L’amore è quell’argomento del quale ci siamo stancati di parlare, perché tutti, dai filosofi ai poeti, dai cantautori ai registi, si sono chiesti cosa fosse l’amore. È il mistero dei misteri. Ma senza questo mistero la vita dell’uomo sarebbe misera cosa.

Dopo questa lunga e illuminante digressione sul significato più intimo del suo ultimo film, si è passato a discutere dell’importanza di una colonna sonora, e del rapporto che si viene a creare tra il regista e il musicista.

La colonna sonora è un ingranaggio del film, fa parte della sua storia. Con la musica il regista si confronta con una cosa che, salvo rari casi, non conosce bene. Sui costumi, sulla scenografia, sugli attori si può esprimere un dissenso, fare dei tagli, delle modifiche, ma con la musica è diverso, si può esprimere solo un’opinione che il musicista deve decodificare e rendere con i suoi strumenti.

È un confronto complesso. Ci si deve intendere, e lo si fa attraverso mille modi, eccetto uno, che non è lecito per me: quello di fare degli esempi. Non bisogna umiliare la capacità professionale di qualcuno, non lo farei mai, né nel lavoro e né nella vita. Preferisco trovare un modo per farmi capire e per entrare in contatto con la sensibilità del musicista. È una ricerca difficile, affronto la musica prima ancora di iniziare le riprese.

Sul finire dell’incontro, che ha toccato argomenti legati agli altri successi di Tornatore, al suo rapporto con la critica, al processo creativo dei suoi capolavori (fatto di lampi di genio, ma anche di lunghissimi periodi d’incubazione), il discorso è ruotato sul ruolo della tecnologia e sul rapporto che il regista ha con essa nella quotidianità.

Il mio rapporto con la tecnologia è semplicissimo. Potenzialmente per me è positiva, non ho un pregiudizio verso di essa e sono molto curioso di scoprire le sue novità, ma non mi piace inseguire le mode. Uso solo lo stretto indispensabile a rendere il lavoro più rapido e semplice, ma non sono schiavo dell’innovazione.

La tecnologia ha talmente allargato la nostra vita da darci l’illusione di poterla addirittura allungare. Oggi riesci ad essere in qualunque posto del mondo anche se non ci sei, comunicando con 40 persone nella stessa unità di tempo. È come se questo modo di comunicare promettesse un’immortalità che inevitabilmente condiziona il modo di vivere e i sentimenti. Ad esempio il corteggiamento oggi avviene chattando, poi forse ci si conosce, prima era tutto giocato sullo sguardo, sulla scoperta spontanea. Non mi piace l’uso deviato della tecnologia ma non è nulla di maledetto, anzi. Dà molto, ma toglie sempre qualcosa.

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