Sviluppo, ambiente, politica: il manifesto di Free Avellino

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La Free Avellino, prendendo spunto dal manifesto voluto da Free nazionale in collaborazione con Amici della Terra nel febbraio 2001, intende promuovere la cultura, le politiche e gli strumenti istituzionali per lo sviluppo sostenibile.
Con questo documento Free Avellino conferma una metodologia che vuole coniugare le proposte operative con un contesto di visione e valori, necessari a comprendere i grandi cambiamenti del nostro tempo e a verificare l’impatto delle decisioni nel medio-lungo periodo. “La priorità della questione è tale da far sì che in ogni azione e in ogni scelta si debba tener conto dell’impatto ambientale. La decisione economica infatti non può non includere una valutazione relativa al suo impatto sulle risorse ambientali come sulle risorse umane. Alla logica strumentale dei veti si sostituisce quella positiva dell’analisi per fare e fare bene”. Così Gerardo Santoli, responsabile della Fondazione Free Avellino. “Un flusso di emergenze vecchie e nuove – il cui intreccio costituisce la “questione ambientale” – occupa stabilmente la scena nazionale e locale. Non c’è campo della vita sociale che non sia toccato in via diretta o riflessa – dall’ambiente all’economia, dalla salute alla cultura. Non c’è periodo dell’anno che non sia percorso da una o l’altra emergenza: frane, alluvioni, terremoti, vulcanismo; sicurezza alimentare; cambiamento climatico; traffico, congestione; inquinamenti; rifiuti; risorse idriche; incendi boschivi; abusivismo; biotecnologie, e così via. Lo stesso avviene ai piani alti della politica: si inseguono le emergenze, ma di rado si affrontano le cause che le producono. Sono infatti considerate questioni minori: cronaca, appunto. Trascurate dalla politica, tali questioni assediano l’ “intendenza” e la mettono in scacco; ma rimangono irrisolte.
Ciò non vuol dire che, sull’ambiente, si sia all’anno zero o che non siano stati conseguiti successi, anche importanti. Vuol dire invece che, malgrado i risultati ottenuti, nel complesso il bilancio è in rosso ed oggi ci si ritrova a un punto di crisi. Si è ottenuto quel che si poteva ottenere con il comando/controllo all’italiana: normative rigide e severe, controlli approssimativi, abnormi dimensioni del sommerso. Si è avuto successo in molte misure puntuali a carico delle imprese industriali (perché è facile fissare limiti e standard), ma si è fallito sulle questioni che richiedono vere e proprie strategie e un’azione pubblica efficace.
Le cause del fallimento? Carenze croniche dell’intero sistema nazionale, ma anche fattori specifici di governo locale: perché la questione ambientale non può essere lasciata ad un singolo mentre tutti gli altri remano contro; e perché finora in Italia sono state prodotte molte leggi ambientali – tanto da dar vita a una nuova forma d’inquinamento, quello legislativo – ma non è stata mai costruita una politica. È questo il vero problema.È inadeguata tutta la politica di governo locale (Regione Campania e Provincia di Avellino), la quale stenta a tener dietro, non solo alle emergenze ambientali, ma anche alle innovazioni della scienza e delle tecnologie ed alle grandi trasformazioni in atto nell’economia e nella società. Dissesto idrogeologico, frane, alluvioni, rischio sismico. Enfatizzati nelle emergenze, questi problemi – che producono gravissimi danni all’ambiente e all’economia e minacciano l’incolumità e le proprietà dei cittadini – svaniscono nell’ordinaria amministrazione. Ma tornano sempre. Perché a livello centrale non è mai stata varata una politica di prevenzione; e neanche su scala locale dove peraltro, più che il colore politico delle giunte, contano i diversi livelli di evoluzione culturale e istituzionale.
È di destra o di sinistra occuparsi di queste cose? Noi poniamo una domanda più sensata: ma che razza di politica è quella che lascia andare in rovina il territorio del proprio paese? A fronte di simili questioni, la risposta della politica non può che essere immediata. Nessuna persona ragionevole può considerare il non decidere, il ritardo cronico, un valore positivo, neanche dal punto di vista della tutela ambientale; che peraltro non è aprioristicamente incompatibile con le grandi opere. Ma non è ragionevole neanche prendere i problemi per la coda, discutere di manufatti invece che di scelte politiche; né scaricare su un solo elemento – la protesta – problemi che sono un prodotto di tutto il sistema, delle sue disfunzioni, dell’arretratezza delle politiche pubbliche, dei labirinti del formalismo burocratico.
Ci sono domande alle quali la politica deve cominciare a dare risposta. In quale tipo di paese e di provincia vogliamo vivere? Quanto territorio vogliamo distruggere per far posto a nuovi insediamenti e infrastrutture a discariche a parchi eolici; quale livello d’inquinamento riteniamo accettabile? E in nome di quali politiche – industriale, agricola, energetica, del turismo, dei trasporti, dell’innovazione, e via dicendo? In qual modo governo regione e provincia vogliono utilizzare le risorse pubbliche – economiche, culturali e naturali? Quali obiettivi perseguono effettivamente? Ecco, noi chiediamo che ci si confronti sulla base di una visione complessiva delle priorità della provincia, quanto a infrastrutturazioni materiali e immateriali, competitività, valorizzazione delle risorse territoriali, sostenibilità ecologica dello sviluppo”.

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