In Campania l’ultimo censimento agricolo (Istat 2010) ha fotografato la scomparsa di quasi 37 mila ettari di superficie agricola utilizzata (SAU), con una flessione di oltre il 6,3% rispetto al censimento del 2000 su un totale di poco più di 549 mila ettari di campi coltivati. Più in generale l’ultima generazione è responsabile della perdita in Italia di oltre 1/4 della terra coltivata (-28%) per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile nazionale negli ultimi 25 anni ad appena 12,8 milioni di ettari.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti divulgata in occasione della Giornata del consumo del suolo che si celebra il 5 dicembre.
“È un fenomeno sempre più preoccupante – commenta Gennarino Masiello, vicepresidente nazionale di Coldiretti e presidente della federazione campana – che non solo va fermato, ma andrebbe accompagnato con un’inversione di tendenza. Il recupero di suolo agricolo, infatti, oltre a rappresentare oggi una concreta traiettoria di futuro per le giovani generazioni, è il vero baluardo al dissesto idrogeologico. L’abbandono dei terreni e la cementificazione selvaggia sono tra le principali cause dei danni da fenomeni atmosferici violenti. Se da colline e montagne vengono giù i contadini, poi verranno giù colline e montagne”.
“Il prossimo censimento – prosegue Masiello – ci consegnerà con ogni probabilità una tendenza ancora negativa. Il modello di sviluppo legato all’agricoltura può spingere lo sviluppo sostenibile in Campania, ma a patto che si abbandonino le illusioni di insediamenti industriali. Ogni Comune ha voluto realizzare la sua area pip, sottraendo terreno fertile all’agricoltura e lasciando in eredità suolo incolto, asfalto e capannoni abbandonati. Senza una visione d’insieme delle vocazioni territoriali lo spreco di terreno fertile continuerà inesorabilmente. Per invertire la tendenza Coldiretti ha proposto il recupero dei terreni abbandonati e l’affidamento ai giovani agricoltori”.
La disponibilità di terra coltivata significa produzione agricola di qualità, sicurezza alimentare e ambientale per i cittadini nei confronti del degrado e del rischio idrogeologico. Su un territorio meno ricco e più fragile per il consumo di suolo si abbattono i cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire. “Il risultato – sostiene la Coldiretti – è che sono saliti a 7.145 i comuni italiani, ovvero l’88,3% del totale, che sono a rischio frane e/o alluvioni secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Ispra”.
“Per proteggere la terra e i cittadini che vi vivono, l’Italia – continua la Coldiretti – deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività agricola. Occorre accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo, ormai da alcuni anni ferma in Parlamento, che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio”.
Una esigenza che si estende a livello comunitario dove la task force, formata da ACLI, Coldiretti, FAI, INU, Legambiente, LIPU, Slow Food e WWF e altre 500 associazioni promotrici di “People4Soil” che hanno aderito al network europeo (www.salvailsuolo.it), ha lanciato un appello rivolto alla Commissione Europea, che fa riferimento all’obiettivo delle Nazioni Unite di fermare il degrado di suolo a livello globale entro il 2030.