Roma – “Non ci fu nessun aspetto misterioso sulla designazione” di Nicola Mancino come candidato a ruolo di ministro dell’Interno “da parte dell’ufficio politico della Democrazia Cristiana”. Lo ha detto l’ex segretario della Dc Arnaldo Forlani, deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia davanti alla corte d’assise di Palermo in trasferta a Roma. Forlani è stato ascoltato su richiesta del pm per chiarire l’avvicendamento nel 1992 tra Vincenzo Scotti e Nicola Mancino nel ruolo di ministro dell’Interno.
Sollecitato più volte dal pubblico ministero sulla scelta, Forlani ha sottolineato che Mancino, “per risolutezza e forza di carattere, era la persona indicata per il ruolo di ministro dell’Interno”. E Scotti, ministro uscente, designato poi alla guida della Farnesina e rimasto in carica solo un mese, era adatto al ministero degli Esteri. Fu una discussione molto razionale e serena all’interno dell’ufficio politico”, ha ribadito. A giudizio di Forlani, “l’atteggiamento di Scotti in questa vicenda mi è sempre apparso contraddittorio. Aveva inizialmente manifestato contrarietà” alla delibera interna alla Dc di incompatibilità tra ruolo di governo e quello di membro del Parlamento, “ma poi evidentemente aveva cambiato idea. Il fatto che abbia accettato l’incarico” di ministro degli Esteri “oggettivamente significa che aveva rinunciato a quella rigida posizione”. Spiegando come venivano assunte le decisioni sui ruoli di governo all’interno del partito, Forlani ha ribadito “che l’indicazione orientativa era assunta dall’ufficio politico”, composto da lui stesso in quanto segretario, “dal presidente nazionale”, all’epoca Ciriaco De Mita, “dai presidenti dei gruppi parlamentari, Gerardo Bianco e Mancino, e aperto anche ad altre personalità politiche tra le quali l’onorevole Sergio Mattarella, eletto meritatamente presidente della Repubblica. Questo – ha aggiunto Forlani – per dire come nascevano le indicazioni sulla linea politica”. Indicazioni “importanti ma orientative, che in genere venivano accolte”. Rispondendo alle domande sull’orientamento della Dc nella lotta alla mafia, Forlani ha sottolineato che fu di “intransigente contrapposizione”.