Irpinianews.it

SPECIALE/ Terremoto ’80. San Mango fu rasa al suolo, il racconto di Vanni Chieffo

Renato Spiniello – Alle 19 e 34 del 23 novembre 1980 l’Irpinia fu scossa da uno dei terremoti più devastanti della storia sismica.

Uno dei paesi più colpiti fu San Mango sul Calore, in provincia di Avellino, raso completamente al suolo dall’evento tellurico che causò la morte di 84 persone e che cancellò la memoria di uno dei centri medievali più belli dell’Irpinia.

La caparbietà dei suoi abitanti valse al comune la Medaglia D’Oro al merito Civile con la seguente motivazione:

“In occasione di un disastroso terremoto, con grande dignità, spirito di sacrificio ed impegno civile, affrontava la difficile opera di ricostruzione del proprio tessuto abitativo, nonché della rinascita del proprio futuro sociale, economico e produttivo. Mirabile esempio di valore civico ed altissimo senso di abnegazione”.

Novanta secondi di autentico terrore che cambiarono le sorti di una popolazione intera. Un evento che resta marchiato a fuoco nell’animo di chi l’ha vissuto e oggi, a trentacinque anni da quel devastante sisma, Vanni Chieffo, presidente del Gal Irpinia, ha deciso di raccontarci la sua storia, di quella ferita ancora aperta dal punto di vista sociale, fisico, geografico, mentale come se il tempo si fosse davvero fermato.

Qual è il suo ricordo di quel 23 novembre di trentacinque anni fa, che sconvolse drammaticamente l’Irpinia e, in modo particolare, San Mango sul Calore?

“Rievocare quel ricordo mi causa parecchia sofferenza, sono passati trentacinque anni ma per me è come se la terra avesse tremato ieri. In quella situazione penso di essere stato molto fortunato; quel giorno non ero a San Mango, casualmente mia moglie mi aveva portato ad Avellino, insieme a mio figlio, al cinema Partenio per vedere uno di quei film impegnati, di cui non ricordo il titolo. Il terremoto ci ha sorpreso all’interno della sala, ed è stata un’esperienza molto negativa: ricordo il soffitto di cartongesso che crollava, mentre la corrente elettrica saltava insieme alla pellicola stessa. In sala avevo pensato ad un attentato al Carcere Borbonico; come adesso, allora era un periodo in cui gli attentati erano abbastanza frequenti. Ho pensato che la disgrazia fosse relativa a quella zona quindi.

Uscendo poi dal cinema capii subito che la situazione era più grave di quanto avessi immaginato. Ovunque scene di terrore, persone che si riversavano in strada. Casa ad Avellino non aveva subito danni, così mi precipitai a chiamare San Mango: la linea non era saltata. Pensai ad una situazione simile al terremoto del ’61, quella volta ero a San Mango e raggiungemmo subito la piazza centrale del paese, passando la notte all’addiaccio. Purtroppo avevo sbagliato ancora. Passata una mezz’ora mi arriva la telefonata di mia sorella, allora corrispondente da Napoli per il Paese Sera, che mi segnalava proprio San Mango tra i paesi più danneggiati dal sisma.

Partito alla volta del mio paese, mi resi conto subito della gravità della situazione: crolli lungo la strada, in modo particolare al bivio di San Mango c’erano dei massi enormi staccati dalla montagna che giacevano lungo la provinciale. Raggiunto il paese non c’erano più luci, ma c’era la valle oscurata totalmente da una nebbia intensa, poi capii che in realtà era polvere che ristagnava sul paese e c’era quella luna piena, che illuminava in maniera sinistra i dintorni. All’ingresso del paese fui scoraggiato da alcune persone a continuare a scendere in quanto non vi erano superstiti. Decisi di continuare fin dove potevo, prima con la macchina, poi proseguendo a piedi ed era veramente drammatico: il paese non esisteva più. San Mango resta uno dei comuni con il più alto numero di morti nel centro storico rispetto alla totalità degli abitanti, quasi ottanta vittime. Casa la identificai tramite il pino che svettava nel mio giardino, intorno era solo un cumulo di macerie.

Rimane un’esperienza difficile da cancellare perché si sentivano ancora le invocazioni d’aiuto da sotto le macerie, poi le continue scosse di assestamento continuavano a mettere a repentaglio la vita di chi, come me, cercava di avventurarsi tra i resti. Un’esperienza traumatizzante, tra tutti quei morti molti appartenevano alla mia famiglia, tra cui mio padre stesso.

All’epoca non esisteva un’organizzazione di soccorso per i casi di calamità naturale. I soldati, giunti la mattina dopo, erano sprovvisti di torce e di pale e di qualsiasi altra attrezzatura adatta al recupero di persone. Probabilmente nemmeno loro erano preparati ad uno scempio del genere, ad una tragedia di così vaste proporzioni. Quella mancanza di intervento immediato nelle prime 24-48 ore fu fatale per tantissime altre persone. Una Protezione Civile adeguata con mezzi, uomini e disponibilità probabilmente avrebbe salvato tante vite. I primi giorni sono stati un autentico festival dell’improvvisazione, una gara anche di solidarietà tra quelli che erano rimasti ma poco potevano fare con tale penuria di attrezzature.

La notizia poi venne fuori grazie anche al Mattino, ricordiamo quel famoso titolo “Fate presto”, ormai un cult giornalistico; da quel momento si è incominciato a vedere misericordia, ambulanze, ma anche un aiuto importantissimo da tutta Italia e dall’estero. Arrivarono volontari anche da città settentrionali, dove probabilmente c’era già una coscienza della protezione civile. Tutto questo ha velocizzato il recupero delle salme e dei dispersi, ad eccezione di una persona, investita all’interno della propria abitazione dallo scoppio di una bombola, la cui salma non è stata trovata”.

San Mango dopo il terremoto del 1980

A distanza di 35 anni, si può dire che la ricostruzione abbia funzionato o si poteva fare di più?

“Oggi diventa difficile dire se era possibile fare di più o di meno, purtroppo ci sono anche quelli che hanno lucrato sui lutti del terremoto. Io penso che ad oggi la ricostruzione sia andata bene, anche per i tempi: in molti comuni si è passato dai prefabbricati alle case in tre, quattro, cinque anni. L’investimento è stato massiccio. L’unico cruccio rimasto nell’animo di chi ha seguito, anche da amministratore, questa vicenda, è il fatto che poi tutta l’area vasta del sisma è stata allargata in modo politico ogni giorno di più fino alla zona partenopea, casertana e foggiana. Identificando il tutto come Irpinia, che poi era l’epicentro del terremoto, quando poi i furti e le malversazioni, come confermato dai processi, si sono caratterizzati unicamente nell’area napoletana. Questa è una macchia che dovrebbe essere cancellata, si dovrebbe fare una riflessione seria tra amministratori, tra chi ha partecipato a quegli episodi per chiarire una volta per tutte che l’Irpinia si è differenziata rispetto al consumo di denaro pubblico speso in altre zone”.

A che punto è la cultura della prevenzione e della sicurezza in Irpinia?

“La violenza di quel terremoto ci lascia ancora oggi interdetti e perplessi sulla forza della natura, tuttavia gli immobili ricostruiti con la legge 219, ovvero secondo i canoni antisismici, dovrebbero dare una certa serenità e sicurezza in caso di eventi calamitosi”.

Quanto è utile rievocare il dramma dell’Ottanta e che messaggio lascia alle nuove generazioni che non hanno vissuto direttamente il sisma?

“Al di là della perdita di affetti e immobili, questo dramma ha riguardato soprattutto la perdita delle radici, della cultura, di quello che l’Irpinia era prima del terremoto. Le nuove generazioni sono tutt’oggi all’oscuro di quello che era la vita contadina della nostra terra. Su questo bisogna soffermarci, non ci può essere futuro senza la conoscenza del passato, senza sapere com’era il nostro territorio prima di quell’evento che poi ha stravolto le coscienze, le memorie, le popolazioni anche dal punto di vista psicologico. Chi ha vissuto quell’esperienza è stato marchiato a fuoco da essa, fino a riviverla dentro se stesso. Mi riferisco in modo particolare a quelli che poi hanno perso dei cari. Questa tragedia ha colpito, in percentuale, un’altissima fascia di popolazione nei paesi terremotati”.

Come ricorda San Mango quelle ottantaquattro vittime di quel tremendo boato che cancellò la memoria storica di uno dei centri medievali più belli dell’Irpinia?

“Il ricordo è sempre vivo a San Mango, ottanta persone in una comunità piccola come questa sono tantissime e non potranno mai essere dimenticate. Ogni abitante di San Mango aveva un rapporto di parentela o di amicizia con almeno una delle vittime. Non dimentichiamo che il sacrificio di queste persone ha contribuito a migliorare le condizioni di vivibilità, perché poi dalle grosse tragedie si hanno grandi passi avanti dal punto di vista economico e sociale. Si è passati da un discorso di arretratezza dell’Irpinia, ma di tutto il meridione all’epoca, a fare un salto in avanti notevole.

Forse si poteva recuperare qualcosa in più, si poteva lasciare qualche traccia storica di interesse paesaggistico, ma all’epoca non c’erano leggi a garanzia di un qualcosa che poteva essere di interesse storico e trasmissibile alle nuove generazioni, ma per come è andata e per come ne siamo usciti penso che alla fine il bilancio sia positivo”.

[list][item icon=”fa-check” ]SPECIALE/ Terremoto ’80. Ci sono giorni in cui si rinasce[/item][/list]

[list][item icon=”fa-check” ]SPECIALE/ Terremoto ’80. Parla il capo della Protezione Civile: “Accelerare sulla prevenzione”[/item][/list]

[list][item icon=”fa-check” ]SPECIALE/ Terremoto ’80. Repole: “Ricordare per costruire il futuro”[/item][/list]

[list][item icon=”fa-check” ]SPECIALE/ Terremoto ’80. Quando Andy Warhol invocava la ricostruzione[/item][/list]

Exit mobile version