SPECIALE/ Terremoto ’80. “Voi irpini popolo straordinario, dalle tragedie si rinasce”: parla il sindaco di Amatrice

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“Avellino? Ho tanti amici lì, mi ricordo una finale playoff di Serie C1 contro il Foggia. Ero sulle tribune del Partenio-Lombardi a fare il tifo per i Lupi, senza nulla togliere ai pugliesi, ed esultai al gol di Rivaldo, un gol pazzesco quasi da centrocampo”. D’altronde in Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, una città che non esiste più, rasa al suolo dal violento sisma di agosto, convive una doppia anima di sportivo e politico.

Eletto primo cittadino per la seconda volta nel 2014, Pirozzi vanta un passato con il Rieti in serie C2 poi come vice allenatore dell’Ascoli in serie B. Nelle settimane prima del terremoto il suo Trastevere aveva incontrato in amichevole, tenutasi proprio ad Amatrice, la squadra dell’Ascoli che milita in B: risultato clamoroso, 3-2 per i romani.

Il suo è un linguaggio diretto, da uomo tosto, e forse proprio per questo o lo si ama o lo si odia.

La storia dell’Avellino Calcio, il decennio in serie A, della provinciale che sfida la metropoli e che si salva, è la metafora dei piccoli borghi che resistono, come il nostro. Amatrice rinascerà come è stato per l’Irpinia.

Oggi ricorre l’anniversario di quella calda domenica di novembre, quando la terra si aprì e in un boato inghiottì case, chiese, ospedali, seppellendo sotto le macerie le donne che preparavano la cena, i bambini e gli adolescenti che giocavano in piazza e passeggiavano sul corso, i tifosi e gli sportivi che commentavano il 4-2 che l’Avellino rifilò all’Ascoli. E c’entra, c’entra eccome: perché Amatrice dimostra che in 36 anni, in termini di prevenzione, nel nostro Paese è cambiato poco: si continua a morire per terremoti superiori al magnitudo 5.0.

“Qui non c’è rimasto più niente – ci spiega il sindaco di Amatrice – Dobbiamo ricostruire tutto su standard nuovi, con approfonditi studi su faglie e accelerazioni, ma le polemiche lasciano il tempo che trovano. Gli edifici antichi sono vincolati dalla storia, ed la storia stessa che ti comporta a fare dei limiti negli interventi”.

Le immagini di quella notte a cavallo tra il 23 e il 24 agosto si sovrappongono a quelle della sera del 23 novembre 1980. L’Irpinia come Amatrice, Arquata e gli altri paesi del centro Italia distrutti dal sisma, ancora più di L’Aquila, perché questi erano borghi come Conza o Chiusano e forse proprio per questo motivo la solidarietà è corsa veloce sull’asse Avellino-Amatrice.

Siete stati straordinari. Come succederà a me in futuro: quando un popolo riconosce in un altro la sua stessa sofferenza, riaprendo una ferita che stava cercando di rimarginare, non puoi non dare solidarietà e sostegno.

“Nell’80 ero piccolo (Pirozzi nasce dell’65, ndr) ma mi ricordo la devastazione, la sofferenza e quando mi capita di vedere qui persone del vostro popolo ci abbracciamo perché avete vissuto quello che noi stiamo vivendo adesso e sapete cosa significa. Voi irpini siete un popolo fantastico e per questo vi ringrazio di cuore”.

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Uno dei paesi irpini colpiti dal sisma dell’80.

I segni di quella devastazione sono ancora tutti lì: perché terremoto in Irpinia significa anche una pagina ancora aperta, una ricostruzione mai realmente avvenuta, come dimostrano risorse e denaro pubblico che il post sisma dirotta ancora a distanza di anni in Campania.

Dopo il sisma si risorge, anche se l’espressione di ferita aperta si adatta alla perfezione a queste terre dilaniate dalle tragedie. Come: “Innanzitutto non bisogna sentirsi dei terremotati, ma degli sfrattati a tempo, poi rimboccandoci le maniche facendo spirito di comunità e anteponendo la collettività al singolo. Prima poi qui si ricostruirà tutto, l’importante è partire da questa mentalità: pensare al bene comune, sarà che da allenatore ho il senso di squadra innato in me, ma l’individuo non deve prendere mai il sopravvento sulla comunità”.

Dopo il danno umano, la grande disgrazia di queste tragedie è il rischio di perdere la propria storia, le proprie radici…

Ricostruiremo tutto dov’era prima, certo con nuovi criteri. I nostri simboli non si cancellano; chiese, piazze, hanno una valenza straordinaria per questo dove verranno edificate le case a tempo non si faranno modifiche al piano regolatore.

Per dirla alla Schopenhauer: “Il destino può mutare, la nostra natura mai”.

Qualche giorno fa Pirozzi a Montecitorio disse: “La fascia tricolore la rimetterò quando avrò la certezza che nessuno ci abbandona”. Lui che da un anno e mezzo è presidente dell’Associazione dei comuni dimenticati.

Amatrice, secondo giorno post sisma.
Amatrice, secondo giorno post sisma.

“Sono trent’anni che mi sento abbandonato – chiosa – Serve una strategia politica diversa nei confronti dei borghi di frontiera, queste aree tra qualche anno diventeranno come il Sud America: deserte a fronte di vasti agglomerati centrali. La grande risorsa dell’Italia sono proprio i piccoli comuni, la nostra è la storia della diversità. Siamo un grande popolo soprattutto per la solidarietà e non penso solo all’Irpinia, penso alla Sicilia, alla Sardegna, al Veneto, al Piemonte…”

La storia della nostra nazione parte dai comuni, dobbiamo far tornare la gente nei borghi.

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