di AnFan – Riduzione in schiavitù e violenza sessuale aggravata. Sotto accusa un pastore evangelico oggi 83enne. Il processo questa mattina davanti ai giudici della Corte d’Assise di Avellino. Un processo scabroso, inquietante, che ha sconvolto la piccola comunità di Sant’Andrea di Conza. E che si è celebrato a porte chiuse.
Sono state ascoltate alcune vittime del pastore. Una ragazza e sua zia. Hanno raccontato di un incubo lungo anni. Dei continui rapporti sessuali che erano costrette ad avere con l’angelo, come si faceva chiamare l’imputato. E di quella lista di “prescelte”, donne del paese, fedeli alla chiesa libera, che avevano il compito e l’”onore” di soddisfare tutti i suoi desideri. Per chi si rifiutava era sempre pronta la minaccia di malattie mortali e di vendette divine. Al santone non si poteva dire di no. Sarebbe stato un no alla volontà del Signore.
Quella delineata questa mattina in Assise, davanti ai giudici (presidente Luigi Buono, a latere Giulio Argenio), e alla giuria popolare, è l’affresco cupo di una prevaricazione assoluta. Almeno nelle dichiarazioni delle prime due vittime. E dove il confine tra la religione e l’orrido, la santità e il demonio, diventa sottile e inquietante. E si traduce nei capi di imputazione contestati all’83enne (assistito dall’avvocato Giovanna Perna).
Il santone non avrebbe imposto solo obblighi sessuali alle fedeli, ma anche regole ferree sull’abbigliamento (niente pantaloni e gonna sopra il ginocchio), sull’educazione scolastica (le ragazze dovevano interrompere gli studi dopo la licenza media). E poi, niente televisione. E nessuna frequentazione con persone al di fuori della “chiesa”. Secondo l’accusa l’angelo disponeva anche dei beni e delle proprietà degli adepti.
La zia della minore ha raccontato di aver avuto ripetuti rapporti sessuali con il pastore per salvare la figlia 13enne. Per evitare che le attenzioni dell’imputato si spostassero sulla ragazzina.
Il pastore avrebbe avuto rapporti anche con più donne insieme. E tutto accadeva in una “stanza del sesso”.
In aula l’avvocato difensore ha definito le ricostruzioni delle vittime “fantasiose”, ed evidenziato un limite dell’inchiesta: si è basata solo sulle dichiarazioni delle vittime. Non è stato fatto nessun altro accertamento. Neppure un controllo, una verifica, nella cosiddetta “casa degli orrori”.
Le vittime si sono costituite parte civile, e sono sostenute dall’avvocato Danilo Iacobacci. Una delle donne ha dichiarato di aver trovato la forza di denunciare il pastore solo quando ha capito che non avrebbe più potuto far del male alla sua bambina.
A sostenere l’accusa in aula è il procuratore Rosario Cantelmo.
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