AVELLINO- Scarcerato dal Riesame per una “declaratoria di inefficacia della misura” eccepita nel corso dell’udienza dai suoi difensori (gli avvocati Vincenzo Di Vaio e Alberto Biancardo) e raggiunto da una nuova misura cautelare in carcere in poche ore.
E’ quanto avvenuto nella giornata di ieri al commercialista Pasquale Vuolo, ritenuto dalla Procura di Avellino la “mente” di una truffa da un milione di euro sui ristori Covid. Per Vuolo la “sorpresa” quando ha raggiunto la matricola del Carcere di Belllizzi Irpino, dove gli è stata notificata una nuova misura cautelare, quella firmata dal Gip su richiesta della Procura di Avellino, il sostituto procuratore Vincenzo Russo, che come prevede la legge, ha ravvisato “eccezionali ragioni di cautela” per cui alla fine, almeno per ieri le porte del carcere di Contrada San Oronzo per il commercialista non si sono aperte.
Già nelle prossime ore la vicenda potrà finire nuovamente all’attenzione dei magistrati del Tribunale del Riesame. Come è noto l’altro indagato finito in carcere, il commercialista Ramon Irizarry, difeso dall’avvocato Alfonso Laudonia, era stato posto agli arresti domiciliari dal Gip del Tribunale di Avellino dopo l’interrogatorio di garanzia.
L’INCHIESTA
I fatti ricostruiti dai militari del Gruppo Avellino del Comando Provinciale della Guardia di Finanza risalgono al 2021. I fondi percepiti vennero stanziati nell’ambito dei decreti Sostegni e Sostegni bis: prevedevano un’erogazione diretta dei contributi a fondo perduto da parte dell’Agenzia delle entrate in favore degli operatori che ne avevano fatto istanza. Le indagini, però, hanno accertato che i professionisti avevano posto in essere un “articolato sistema di frode – evidenziano dalla procura irpina – al fine di ottenere il beneficio in questione, attraverso la presentazione di istanze, da parte delle società coinvolte, nelle quali veniva dichiarata falsamente una flessione media mensile del fatturato tra gli anni 2019 e 2020, che ha consentito poi di percepire illecitamente contributi per un importo complessivo pari a 1.190.968 euro”.
Gli accertamenti hanno anche permesso di verificare che le società coinvolte a supporto delle istanze avevano presentato dichiarazioni integrative fiscali ai fini IVA ed imposte dirette, in rettifica di quelle originariamente presentate per gli anni d’imposta 2019 e 2020, nelle quali avevano riportato dati non veritieri, indicando, per ogni società, un volume d’affari di circa 9 milioni di euro, “solo per creare e dimostrare artificiosamente una flessione media del fatturato di circa 750 mila, tra l’anno 2019 e l’anno 2020”