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Resistenza agli antibiotici: all’Italia la maglia nera

Chirurgia sanità medici

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Sono tanto piccoli quanto pericolosi da poter provocare, entro il 2050, più di dieci milioni di vittime. Si tratta dei cosiddetti superbatteri resistenti, che si propagano rapidamente e a partire dai luoghi più impensati, come può essere un semplice cellulare.

A renderlo noto e a richiamare l’attenzione pubblica sono i dati di un convegno patrocinato dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità. La problematica principale riguarda la resistenza agli antibiotici, per la quale l’Italia detiene il primato europeo. Ciò si traduce in un aumento del numero di pazienti resistenti a quasi tutti gli antibiotici e nella conseguente incapacità di avere ulteriori strumenti per curarli.

L’Italia, oltre a detenere la “maglia nera” per le più elevate percentuali di resistenza verso quasi tutti gli antibiotici, rappresenta anche uno dei maggiori consumatori di antibiotici in Europa (dopo solo la Grecia), e dai dati emerge come un antibiotico su cinque venga adoperato in maniera inappropriata. Quest’ultimo aspetto sta provocando un ampio sviluppo di ceppi di batteri resistenti per il quale risulterà sempre più impegnativo trovare il trattamento utile a una gamma sempre maggiore di infezioni abbastanza comuni.

Dal punto di vista territoriale, i livelli più elevati di antibiotico-resistenza sono maggiori al Centro e al Sud Italia, dove si attesta anche più alto il consumo di antibiotici.

In Italia le infezioni collegate all’assistenza intra-ospedaliera colpiscono ogni anno circa 284.000 pazienti (dal 7% al 10% del numero di pazienti ricoverati) provocando la morte di circa 4.500-7.000 persone. Le infezioni più diffuse sono la polmonite (24%) e le infezioni del tratto urinario (21%).

Parlando di strategie per fronteggiare la situazione, sono state tradotte principalmente in due: l’utilizzo di risorse appropriate ad accelerare lo sviluppo di nuove molecole antibiotiche, al fine di renderle immediatamente accessibili ai pazienti, e l’attuazione di una sorta di “educazione antibiotica”, ovvero l’utilizzo più adeguato degli antibiotici sia a livello privato sia a livello ospedaliero. Questo tramite un uso corretto dei vaccini, un uso consapevole degli antibiotici e una serie di regole di carattere generale e di uso quotidiano che vanno dal lavaggio delle mani alla riduzione dell’utilizzo dei cellulari in ospedale, in quanto strumento “inconsapevole” di trasmissione batterica.

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