L’avevamo visto sempre con il sorriso sulle labbra mentre annunciava di voler parlare di contenuti e dell’amore per la sua città. L’avevamo lasciato sicuro di vincere al primo turno dopo aver capitanato una sparuta ammucchiata di candidati, 200 dei quali senza nessuna possibilità di essere eletti e senza nulla in comune l’uno con l’altro se non la “devozione” verso qualcuno o qualcosa. L’avevamo visto stringere mani, mettere in scena il ruolo del candidato sindaco che “non deve chiedere mai”, che non risponde alle accuse di chi lo tratteggiava come il volto pulito di quel sistema di potere che ha reso Avellino la città che è oggi.
Il 10 Giugno lo spartiacque: il voto non va secondo i piani e gli ex consiglieri comunali di Foti più altri volti tristemente “storici” del consiglio comunale avellinese, forti del proprio inossidabile voto personale e familistico, scavallano il 50% superando per distacco Pizza e facendo capire, se ancora ve ne fosse bisogno, chi comanda in quella coalizione. Il candidato sindaco si ferma al 40%: ben oltre il 10% della cittadinanza sceglie i suoi consiglieri ma spodesta lui; il centrosinistra, nonostante le 7 liste a supporto dell’avvocato, non vince come era nei disegni di chi aveva concepito quell’ammucchiata. Un disastro.
Ieri, dopo la nomina di Carlo Sibilia a sottosegretario agli Interni, l’avvocato di Paolo Foti ha perso le staffe. Dopo che, legittimamente, il deputato Michele Gubitosa aveva chiesto a Pizza di farsi da parte dopo la clamorosa debacle del primo turno, il candidato sindaco ha sbarellato definendo il parlamentare “senza cultura istituzionale” e sfidando Ciampi ad un confronto, una sorta di ultima spiaggia per cercare di recuperare quei consensi che giorno dopo giorno vanno scomparendo sull’onda di una voglia di cambiamento che il 60% degli avellinesi ha manifestato non votando Pizza e contravvenendo al suddetto disegno di chiudere i giochi al primo turno riunendo tutti i galoppini del potere. Una sorta di schizofrenia, quella individuata da Pizza, quando Gubitosa ha chiesto agli avellinesi di liberarsi definitivamente del voto di scambio, un cancro radicato nella provincia irpina come dimostrato dalle varie inchieste giudiziarie che hanno scoperchiato un sistema vergognosamente deleterio per la città. Per Pizza il voto di scambio, evidentemente, non esiste. Pizza offende migliaia di cittadini onesti di Avellino che hanno pagato questo dramma sulla propria pelle, che vogliono definitivamente superarlo.
Crediamo, probabilmente a ragione, che le dichiarazioni dell’avvocato di Paolo Foti siano state condizionate dalle forti pressioni che arrivano dagli eletti: una eventuale vittoria consegnerebbe a Pizza una maggioranza risicatissima ed i “nuovi” consiglieri hanno già battuto cassa chiedendo posti importanti in Giunta e costringendo Pizza a non rivelare i suoi nuovi assessori. La strategia è quella di tenere buoni i vari Mr e Miss Preferenze, di illudere quelli che sono rimasti fuori, di provare l’ultimo disperato tentativo di tenere insieme la baracca almeno fino alla domenica del ballottaggio, consapevole che prima o poi tutto deflagrerà, pensando di riuscire a rattoppare nuovamente con la saliva ed in nome di una forza politica che non ha.
Pizza ha perso le staffe perché ha capito che qualunque sia l’esito del ballottaggio lui non potrà mai “fare il sindaco”. La recita è finita.