Pistola scoperta nel blitz, confermata la condanna al presunto boss Sangermano

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NAPOLI- I giudici della Sesta Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli hanno confermato la condanna a cinque anni e quattro mesi inflitta dal Gup del Tribunale di Napoli Valentina Giovanniello nei confronti del presunto boss Agostino Sangermano e quella a quattro anni e otto mesi per Giovanni Minichini, difesi il primo dagli avvocati Raffaele Bizzarro e Nicola Quatrano, il secondo dagli avvocati Giovanni Pignatelli. Il verdetto letto in aula ieri pomeriggio, dopo le discussioni delle parti che si erano svolte una settimana fa . La conferma delle due condanne era stata infatti la richiesta del sostituto procuratore generale Vincenzo D’Onofrio al termine della sua requisitoria. L’accusa era di detenzione di armi abusiva e la ricettazione aggravata dal metodo mafioso per cui sia Minichini che Sangermano dovevano rispondere per quanto accaduto nel corso del blitz eseguito dal personale del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna e della Dia di Napoli durante le fasi di esecuzione della misura cautelare relativa al clan Sangermano.

IL FATTO

Nella mattinata del 3 novembre del 2022 alle 4:55, quando il personale del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna aveva bussato all’abitazione del boss Agostino Sangermano per eseguire la misura cautelare per il clan Sangermano, lo stesso 44enne presunto capoclan era stato trovato in possesso, all’interno del giubbotto che indossava, di una pistola calibro 9 corto con matricola abrasa ed un colpo in canna e un altro serbatoio con undici colpi. Nelle stesse ore i Carabinieri bussavano anche a casa di Giovanni Minichini. Anche in questo caso veniva rinvenuta un’arma clsndestina. Una pistola calibro 6,35 con sette colpi nel serbatoio e un altro serbatoio per una pistola calibro nove con due proiettili calibro 9 mm. La Procura Antimafia aveva chiesto per entrambi il giudizio immediato ma i due imputati avevano optato per il rito abbreviato, quello per cui a settembre del 2023 c’era stata la sentenza. Entrambe le armi erano con matricola abrasa e provento di furto. La calibro 9 corta era stata rubata nel settembre del 2009 ad un soggetto che poi è finito coinvolto e condannato anche per lo stesso clan. Nel corso del processo di primo grado, Sangermano aveva ammesso gli addebiti (del resto evidenti) spiegando però che l’arma era stata utilizzata per difesa personale solo perché, sentendo rumori nei pressi della sua abitazione, aveva deciso di dare un’occhiata e quando aveva notato che si trattava di Carabinieri, aveva rimesso subito la pistola nel giubbotto. Le due pistole erano rubate. La calibro 9 in uso a Sangermano nel 2009 e la 6,35 in uso a Minichini nel 2020. Va sottolineato che per Minichini la condanna (due anni) per la detenzione dell’arma ha escluso l’aggravante mafiosa, mentre per i due capi di imputazione connessi all’ordinanza “madre” sempre legati a reati di armi detenute in concorso con altri presunti affiliati (e risalenti al 2016) hanno portato ad una condanna a due anni e otto mesi.

IL NO ALLA RIUNIONE DEL PROCESSO A QUELLO PRINCIPALE

La difesa, qualche giorno fa aveva chiesto (come era avvenuto anche prima della sentenza di primo grado) la riunione del procedimento per armi a quello cosiddetto “madre”, ovvero l’associazione, che si celebrerà a settembre davanti ad un diverso Collegio della Sesta Penale. I giudici avevano rigettato la richiesta fissando in tempi velocissimi, a causa di una ragione di decorrenza dei termini di custodia, la nuova udienza (ovvero 4 giorni) rimettendo ad un collegio in diversa composizione il nuovo procedimento. Rigettata anche la richiesta avanzata nell’ultima udienza in aula dalla difesa. L’ avvocato Nicola Quatrano ha chiesto l’ acquisizione di una pen drive nella quale indica come presenti gli atti facenti parte del fascicolo della difesa relativi al fascicolo principale, sono gli atti per cui è stata chiesta la rinnovazione del dibattimento nella contestazione associativa ai sensi del 603 cpp. Il sostituto Procuratore Generale Vincenzo D’Onofrio aveva invece chiesto il rigetto della rinnovazione degli atti ritenendo la richeista non fosse rilevante nella misura in cui Sangermano e’ riconosciuto quale capoclan (con sentenza di primo grado) e perché si trattasse di una richiesta di integrazione probatoria non contenuta nelle memorie. La Corte, dopo una camera di consiglio, rilevando che tali documenti non risultavano nei motivi di Appello e che per la richiesta di rinnovazione in Appello mancassero gli elementi di novità, ha igetta l’ istanza della difesa e aveva proceduto con l’udienza, la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Vincenzo D’Onofrio.

Nel merito della discussione il sostituto Pg ha ritenuto che per Sangermano la condanna andava confermata alla luce del suo riconosciuto ruolo di capoclan, con sentenza di primo grado, e per quanto riguarda il processo per armi alla luce delle “argomentazioni assolutamente inattaccabili dal punto di vista logico e fattuale che voi avrete modo di leggere nella sentenza del Tribunale di Napoli prodotte nel fascicolo” . La difesa aveva contestato invece la circostanza per cui il giudice di prime cure abbia voluto creare un processo “parallelo” a quello per l’associazione a delinquere. Ha definito suggestivo il fatto che si ritenga l’arma in uso a Sangermano detenuta non per una semplice difesa personale, per quanto sia censurabile che la detenesse ma ha ammesso l’addebito, e suggestivo anche il fatto che si colleghi la circostanza che era stata rubata ad un soggetto poi collegato al clan. Una coincidenza territoriale. Perché la presunta nascita del clan è datata 2011 nella prospettazione dei collaboratori di giustizia e quindi nel 2009 non era ancora individuabile. Sul profilo della esistenza del sodalizio, anche alla luce delle dichiarazioni di alcuni collaboratori storici, la difesa ha rilevato come non esistesse nessun clan Sangermano prima che venisse contestato dalla Procura dopo il 2016, anche perché gli stessi collaboratori non indicavano legami a consorterie operative all’epoca dei fatti. Tutti motivi per cui anche nei confronti di Sangermano e’ stata chiesta l’esclusione dell’aggravante mafiosa.