L’assise del Pd è saltata per mancanza del numero legale, ma dal punto di vista numerico la contrapposizione al segretario provinciale si ridefinisce uscendo allo scoperto e richiedendo una nuova assemblea.
Stamane sulla propria pagina facebook,Carmine De Blasio ha così risposto alle critiche dopo l’allontanamento repentino appena annullata la seduta:
“La fuga, la sottrazione dei registri…. Smettiamola. Dopo un’ora e un quarto di attesa, dopo che formalmente si dichiarava non valida l’Assemblea perché si erano registrate 41 persone,cosa bisognava fare? Assistere allo spettacolo della conferenza stampa di chi aveva da settimane minacciato ferro e fuoco, aveva annunciato e presentato documenti con 44 firme, anzi ieri mattina addirittura di 55? Sta di fatto che nel pomeriggio c’era l’assemblea e di tutti questi erano registrati 39 (altri due non fanno riferimento alle attuali minoranze).
Immaginate se fosse accaduto il contrario. Se l’assemblea l’avessi chiesta io e se si fossero registrate solo 39 persone?
Ora invece di riconoscere politicamente quello che è accaduto e di mettere un punto a questa sceneggiata si continua…. Ma chi deve dimostrare il senso di responsabilità in un partito, naturalmente dopo il segretario provinciale?
E sono mesi che chiediamo di occuparci delle #cosechecontano mentre altri si agitano in congiure e complotti. E nonostante ieri si continua ancora con documenti e firme. Ma le firme sono persone in carne ed ossa? Ieri si dimostrato di no.”
L’attacco del segretario è legittimo: se non si riesce a portare almeno 51 delegati dopo un’ora e mezza dalla convocazione dell’assise significa che la minaccia di sfiducia risulta un po’ campata in aria.
Ben altro dato ci offre il documento (dovrebbe essere sottoscritto, appunto, da 52 firme) con cui, di fatto, si dichiara la sfiducia al segretario e che evidenzia tutti i punti che hanno portato alla rottura della ormai ex-maggioranza.
La questione relativa a Palazzo di Città, la gestione dei congressi di circolo ad Ariano, Montoro e Montella, l’annosa vicenda dei tesseramenti, la mancata approvazione dei bilanci 2013/2014 fino alla mancanza di una linea politica condivisa, sono le motivazioni sviscerate per avere la testa di De Blasio.
Il segretario non può ignorare la concreta realtà di non avere più una maggioranza e che non si può governare un partito provinciale come il Pd di Avellino senza una condivisione di intenti. Il commissariamento aleggia dalle parti di via Tagliamento (la provocazione a fine assemblea di Rosetta D’Amelio apre le porte ufficialmente a questa possibilità) anche se, come sembra, si andrà incontro ad un intervento da parte dei “piani alti” del partito nazionale, lì dove Luigi Famiglietti ha chiaramente buon gioco.
Sullo sfondo, neanche tanto velato, le prossime elezioni nazionali. Il caos politico all’interno del Pd avellinese, scoppiato dopo le regionali, equivale ad una ridefinizione degli equilibri interni ma, soprattutto, come garanzia di ciò che accadrà quando Renzi si stancherà di dover usufruire della stampella Alfano. Il tempo di formare la lista bloccata della circoscrizione irpina non è poi tanto lontano (italicum docet), le dinamiche territoriali incombono e l’anticipazione del congresso sembra ormai l’unica strada tracciabile. Domani De Blasio, in conferenza stampa, potrà chiarire alcuni lati della vicenda.
L’immagine del Pd irpino, ben definita dall’eurodeputata Picierno, resta quella di una “guerra tra bande”.