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“Pane nero” al carbone vegetale: si o no? Ecco cosa dice il Ministero della Salute

pane nero

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Il “pane nero” è un argomento molto discusso: benefici e controversie di un prodotto che in poco tempo è salito tra le specialità dei forni ma che ha trovato anche una parabola discendente. Ecco alcune precisazioni arrivate dal Ministero della Salute.

Sicuramente, soprattutto nel momento di massimo boom, non c’è stato panificio che non abbia dedicato parte delle sue preparazioni al cosiddetto pane nero. Pizze, focacce, panini hanno inondato gli scaffali di panifici e negozi alimentari.

Oltre alla moda, anche una diffusa diffidenza verso le farine industriali e alcuni effetti benefici sulla salute: considerato un valido rimedio naturale a problemi come il gonfiore di stomaco per le sue capacità assorbenti, a partire dalle sostanze nocive, ai gas, a tutto il resto (infatti, in caso di assunzione di farmaci si consiglia di mangiarlo a debita distanza oraria).

Ma perché il “pane nero” ha questo colore così distintivo?

Perché prodotto con farine integrate al carbone vegetale, ovvero ottenuto tramite una particolare combustione del legno e di suoi derivati (anche gusci di nocciole, ad esempio), a temperature molto elevate (oltre 600 gradi) per ottenere una farina finissima utilizzabile a fini alimentari.

Ma una certa avversione è nata proprio dal fatto che a conferire il caratteristico colore fosse questo colorante E153 da cui prende l’altro nome con cui è noto, “pane al carbone vegetale”.

A scendere in campo è stato anche il Ministero della Salute, che già lo scorso 22 dicembre aveva diffuso una nota in cui precisava che “è ammissibile la produzione di un ‘prodotto della panetteria fine’ denominato come tale, che aggiunga agli ingredienti base (acqua, lievito e farina), tra gli altri, anche il carbone vegetale come additivo colorante e nelle quantità ammesse dalla regolamentazione europea in materia”, ma che tale prodotto non può essere denominato ‘pane’.

Il Ministero precisa inoltre che non è nemmeno ammesso il riferimento al ‘pane’ nell’etichettatura di tale prodotto o nelle pubblicità sia nel caso dei prodotti preconfezionati sia di prodotti sfusi.

Alla base del divieto c’è la mancanza di “tradizione di un uso consolidato” del carbone vegetale come ingrediente del pane antecedente al 15 maggio 1997, per cui questa denominazione necessiterebbe di un’autorizzazione specifica.

L’uso del carbone vegetale come additivo colorante è invece ammesso nei prodotti da forno fini, ovvero prodotti sia dolci sia salati come fette biscottate e crackers.

In merito ai possibili benefici per la salute, il Ministero ha sottolineato che l’indicazione secondo cui “il carbone attivo contribuisce alla riduzione dell’eccessiva flatulenza post-prandiale” può essere utilizzata solo nel caso di alimenti che “contengano 1 grammo di carbone attivo per porzione quantificata e che deve essere accompagnata dall’informazione che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione di 1g almeno 30 minuti prima del pasto e di 1g subito dopo il pasto”.

Con la conclusione che, affinché possa fare bene alla salute, il carbone vegetale deve essere utilizzato con criterio e secondo una posologia ben definita.

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