Pasquale Manganiello – Si intitola Occhi in Smoking e sarà in libreria dal 29 Ottobre. Edito da Hs Communication, è un romanzo generazionale e parla di una rock band di cinque ragazzi, afflitta da misantropia, che naviga a vista tra locali, sesso, tribolazioni familiari, alcol e droga. Attraverso inserti sonori e visivi del cinema, della musica e dell’immaginario collettivo, si muovono nel sociale con l’aria svagata di chi non si rende conto di essere stato uno spermatozoo velocissimo. Cercano le risposte non facendosi le domande, sgomitano e feriscono, tra cielo e fango, tra Dio e l’idiozia imperante.
Ecco il capitolo iniziale:
Capitolo 0
Si stava meglio quando si stava meglio
Oggi compio gli anni. “Sticazzi” ben direbbe qualcuno. Facebook ha ricordato al 98% dei miei conoscenti di farmi gli auguri. Ho scritto un post per ringraziarli:
“L’ultima volta che ho ricevuto così tanti auguri è stato l’anno scorso”.
“Chi sono?” Non ho trovato ancora la risposta. Proviamo ad incastrare i pezzi del puzzle. Durerà un minuto.
Da piccolo mi sventravo dal ridere guardando la faccia delle persone che tornavano al loro posto dopo aver preso l’ostia in chiesa. Uno scompisciamento irrefrenabile. Così come ascoltare, ai comizi, improvvisati politici stroncaitaliano.
Ho sempre odiato le donne che fumano accanto ai bimbi. In particolare le donne. Percepisco istantaneamente il netto contrasto con il senso materno.
Mi è indicibilmente familiare il bicchierone di birra sbattuto su un tavolo di legno. Più dell’albero di Natale. Più dell’uovo di Pasqua.
Sono la persona più egoista del mondo soltanto quando dormo. Non sento ragioni. Voglio il mio spazio ed il mio tempo. Non sento.
Il mestiere che più mi affascina? Lo stenografo. Vorrei picchiare sui quei tasti e non capirci una mazza. E’ un mix tra una macchina da scrivere ed un pianoforte. Cosa c’è di meglio?
Mi manca l’odore della plastichina. Vado puntualmente a riascoltare i messaggi vocali che invio su Whatsapp. Ed ogni volta non mi piace la mia voce.
Non vorrei mai arrivare al punto di dire: “erano solo sogni”.
Si stava meglio quando si stava peggio? No. Si stava meglio quando si stava meglio.
E’ vero, sono ragionamenti che producono lo stesso effetto che fa un cachisso ad uno che non ha mai sofferto di stipsi. Che vuol dire? Fanno cagare. Eppure, strano, ultimamente sono in pace col mondo. Sono a rota di riti apotropaici. Le ispirazioni, quelle sì, sono le cose che mi mancano. Sono in un periodo in cui riesco anche a mettermi qualcosa da parte. E non è male. Non avere soldi significa litigare con gli amici prima che ti invitino al loro matrimonio.
In vari momenti sparsi per la settimana immagino il giorno della mia morte. C’è chi dice che chi vuole ucciderti vuole salvarti. Io dico che chi vuole ucciderti vuole farlo. Punto.
E’ pur vero che trapassare è a tutti gli effetti una cosa naturale, ma a me non piace non poter conoscere il finale. Rima baciata. Alla francese. Orrenda. Non voluta.
La verità è che io non ho paura di morire. Ho paura di rischiare la vita.
Già mi vedo sul letto di morte. Mi sembra di ascoltare, defunto, le parole di chi si avvicina al mio corpo freddo per l’ultimo saluto.
“Era grillino, però era una brava persona”.
“Sono sempre i migliori che se ne vanno”.
E poi, alla fine:
“Sembra che dorme”.
Voglio la bara ed il funerale. Io sono assolutamente contrario alla cremazione. Se lo facessero tutti, si perderebbero migliaia di posti di lavoro. E poi, rock anni ’70 come colonna sonora del rito funebre.
Infine un bell’epitaffio: “E’ un vero peccato che sono morto”. Foto di un altro.
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Nei prossimi giorni nuovi dettagli e particolari di “Occhi in Smoking”. Dal 29 Ottobre in libreria. Ok.