AVELLINO- Millequattrocentoquattordici pagine per motivare i tre secoli di carcere inflitti l’undici luglio scorso nei confronti di ventuno imputati (diciannove accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso) a vario titolo di far parte del cosiddetto “Nuovo Clan Partenio”.
Un imponente lavoro di ricostruzione della lunga istruttoria quello condotto dai giudici della Seconda Sezione Penale del Tribunale di Avellino (presidente Gian Piero Scarlato, estensori Giulio Argenio e Lorenzo Corona) che, partendo dalla imputazione e dalla utilizzabilità degli atti hanno rassegnato un quadro in cui emergono due fatti fondamentali (tra le decine di intercettazioni e gli esami richiamati nella sentenza). Il Nuovo Clan Partenio esisteva ed aveva esteso la sua egemonia criminale anche ben oltre i confini del vecchio Clan Genovese e il capo indiscusso del sodalizio è Pasquale Galdieri, o milord, attualmente detenuto in regime di 41 bis nel carcere di Sassari. Una lunghissima disamina dell’istruttoria, chiusa a luglio con la lettura del dispositivo nell’aula “Nunziante Scibelli” del Tribunale di Avellino. A partire dalle tre diverse indagini confluite nel processo al Clan. Quelle condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (i pm Luigi Landolfi e Simona Rossi, che ha anche seguito la lunga istruttoria dibattimentale).
Irpinianews ha scelto il capitolo relativo proprio al riconoscimento da parte dei giudici avellinesi del sodalizio criminale. Il capitolo nelle conclusioni: Prova dell’esistenza dell’associazione camorristica “Nuovo Clan Partenio”. Il fulcro della sentenza depositata lunedì (alla scadenza della proroga accordata per la complessità del verdetto ai magistrati ndr). Dopo una valutazione in diritto delle caratteristiche di un’organizzazione criminale, i magistrati riconoscono come dell’istruttoria dibattimentale appaia corrispondente quella denominata “Nuovo Clan Partenio”: “Tanto premesso in punto di diritto- si legge nelle motivazioni- dall’attività istruttoria espletata sono emersi numerosi elementi che testimoniano la forza intimidatrice, propria dell’associazione, e la conseguente condizione di assoggettamento e omertà che la stessa era in grado di ingenerare nella generalità dei consociati.
In particolare, il sistematico ricorso da parte degli associati a contegni criminosi caratterizzati da violenze e minacce, in qualche caso poste in essere anche avvalendosi della disponibilità di armi, la capillare organizzazione del sodalizio, caratterizzata da un rigido organigramma e dalla precisa ripartizione dei compiti tra i diversi associati, la ramificazione della stessa, in grado di raggiungere con facilità le vittime delle condotte delittuose poste in essere sfruttando il contributo dei numerosi sodali che avevano posto le proprie energie a disposizione della compagine cominale e per tal via di esercitare un controllo egemonico sul territorio di riferimento, testimoniano la particolare forza di intimidazione che l’associazione era in grado di esercitare nei confronti “di quanti ci venivano per qualunque ragione a contatto”.
L’EGEMONIA DEL CLAN
Rispetto all’egemonia che il gruppo criminale avrebbe esercitato su Avellino e provincia, si legge nella sentenza: “Significative dell’egemonia che l’organizzazione criminale per cui é processo aveva ormai acquisito sul territorio di Avellino e provincia sono talune vicende emerse nell’ambito dell’attività di indagine: quale l’attività intimidatoria in danno di…, reo di non essersi piegato alle decisioni dei capi dell’organizzazione che lo avevano estromesso dalle azioni criminali nella zona di Montella, e che nell’occasione di un incontro con Dello Russo Carlo e Pagano Beniamino era stato costretto ad assumere un atteggiamento remissivo (aveva fatto la pecora) accettando un ruolo meramente gregario rispetto a quello del capo-zona designato, Nigro Ernesto; l’intervento espletato, sempre per il tramite del Nigro, nei confronti di …..pregiudicato originario di Acierno, resosi responsabile di una truffa in danno di alcuni soggetti della zona di Quindici, il quale.. di fronte alla minaccia del Nigro di portarlo al cospetto dei vertici dell’organizzazione criminale di Mercogliano, aveva ammesso le proprie colpe e, in maniera remissiva, si era mostrato disponibile a restituire i soldi truffati: l’intervento effettuato da Nigro Ernesto e Della Russo Carlo-per costringere alcuni locatari morosi a lasciare i locali di proprietà della stessa (intervento che come evidenziato dall’attività intercettiva, progressiva n. 13320 del 09.111.2015, si era caratterizzato senza il ricorso alle maniere forti ma avvalendosi della fama criminale del gruppo”.
Ma c’e’ anche altro, il terrore delle vittime e la mancanza di alcuna reazione ad offese e minacce da parte dei sodali del Clan Partenio: “”L’evidente terrore che attanagliava Nigro Ernesto (che pure aveva una caratura criminale) nel momento in cui non riusciva a ripianare il debito con Galdieri Pasquale, segno evidente della consapevolezza del predetto del rischio che stava correndo mettendosi contro un’organizzazione criminale di tale portata: “L’atteggiamento dimesso delle vittime delle condotte estorsive ed usurarie, che anche quando venivano pesantemente ingiuriate al telefono, si mostravano totalmente remissivi, cercando in ogni modo di non irritare ulteriormente il proprio creditore (come ……, accusato più volte da Galdieri Nicola di essere uno scemo e non un uomo, ma incapace di fare altro che scusarsi con il suo creditore o …. non accennava alcuna reazione anche quando Dello Russo Carlo gli rivolgeva reiteratamente epiteti offensivi come “scemo”, “idiota”, “buttati nel cesso”, “povero”, “uomo inutile” e simili):
L’atteggiamento ancora più remissivo di……davanti alle richieste estorsive di Bocciero Diego, allorché egli, senza protestare né denunciare il fatto alle autorità (come avrebbe fatto chiunque di fronte alle pretese di un normale creditore) accettava supinamente di consegnare al predetto la propria automobile. Come …., il quale, consapevole del pericolo che avrebbe corso una volta che Bocciero e Galluccio avrebbero scoperto l’appropriazione del denaro dell’organizzazione, decideva di scomparire completamente, addirittura espatriando);Il comportamento di Gnerre Alfonso, spinto dalle pressioni per ritirare le accuse contro Dello Russo Carlo e ricordando le aggressioni subite in precedenza, decideva di allontanarsi dalla provincia di Avellino dopo aver simulato un’aggressione, per sfuggire alla situazione”.
Infine rilevato anche il ruolo dei sodali e soprattutto l’organizzazione del gruppo sempre riferita da Ernesto Nigro: “Significativa in tal senso: l’attività intercettiva espletata nei giorni successivi all’arresto e alla scarcerazione di Galdieri Pasquale, allorquando Galdieri Nicola e Dello Russo Carlo, dapprima iniziavano a fare le veci del capo dell’organizzazione e poi, « seguito della scarcerazione della conseguente riassunzione del ruolo di direzione dell’organizzazione da parte del boss, erano costretti a rendere il conto del proprio operato. …La capillare organizzazione della struttura associativa veniva descritta anche da Nigro Ernesto nel corso di alcune conversazioni (progressivo 135 del 03.01.2016 e 4794 del 29.06.2016) allorquando lo stesso riferiva che l’associazione criminale era organizzata in modo tale che ciascuno degli affiliati fosse a conoscenza solo ed esclusivamente degli affari relativi allo specifico settore di attività che gli era stato affidato, cosi da poter facilmente individuare eventuali traditori (“se uno se la canta”)”.
IL CLAN PIU’ ESTESO DEL GRUPPO GENOVESE
“L’attività di indagine ha anche permesso di appurare che il sodalizio criminoso di Mercogliano aveva ormai esteso la propria influenza al di fuori della zona tradizionalmente riservata al vecchio Clan Genovese, spazzando via, anche con le maniere forti, i soggetti criminali che non riconoscevano la leadership del Galdieri Pasquale e aveva intrecciate rapporti con alte organizzazioni criminali operanti nei territori vicini, di cui emerge traccia in diverse conversazioni captate nell’ambito del presente procedimento”. Significative sotto tale profilo, oltre all’estromissione di soggetti legati ad altre organizzazioni criminali quali Moscaricilo Felice e Dello Russo”.
LE ACCUSE “GOFFE” AI CARABINIERI
Per alcuni testimoni e’ scattata la segnalazione alla Procura della Repubblica di Napoli che dovrà valutare sulla falsità e reticenza delle loro dichiarazioni. Nel capitolo sull’esistenza del clan si fa riferimento proprio ad alcune delle vittime degli usurai in particolare. I giudici rilevano “il ricorso ad una serie di, più o meno goffe accuse ai Carabinieri di falso e omissione nella verbalizzazione delle dichiarazioni costituisce una costante nella deposizione delle vittime delle condotte usurarie le quali, se da un lato si mostravano estremamente reticenti nel confermare le attività illecite poste in essere dagli odierni imputati, apparivano estremamente loquaci allorquando le domande delle difese si concentravano sulle modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni”. Tutto frutto di un clima generale e “ambientale di paura e assoggettamento che il clan avrebbe generato nella comunità.
IL BACIO “MAFIOSO”
Nelle pagine delle motivazioni viene rilevato tra le caratteristiche dell’organizzazione anche il fatto che questa “presentava alcune caratteristiche tipiche dei sodalizi di stampo camorristico,
quali l’utilizzo tra gli affiliati di riti particolari di iniziazione o saluto (si pensi all’abitudine riferita da Nigro Ernesto ma confermata anche dalle immagini della videocamera installata nei pressi dell’autorimessa di Dello Russo Carlo, che avevano gli affiliati di salutarsi scambiandosi un bacio sulle labbra) o il ricorso a forme di ausilio di stampo assistenzialistico che l’associazione poneva in essere a favore degli associati o dei loro familiari”. Si tratta di un tema dibattuto molto nel corso del processo al Clan. Ora le difese e la stessa Procura Distrettuale Antimafia avranno i termini di legge per proporre impugnazioni al verdetto. Un processo di secondo grado che ci sarà sicuramente. Si tratta di uno dei processi di camorra più importanti per la provincia di Avellino. Come più volte ricordato, nato dall’ operazione dei Carabinieri del Nucleo Investigativo denominata “Partenio 2.0”, culminata dopo ben 5 anni di indagine (il primo filone era datato 2014) nel blitz dell’ottobre del 2019.
Collegio presieduto dal giudice Gian Piero Scarlato e dai giudici Giulio Argenio e Lorenzo Corona per accertare l’esistenza dell’organizzazione criminale denominata “Nuovo Clan Partenio”. Un’istruttoria andata avanti per circa due anni e mezzo. Basti pensare che per giungere alla sentenza ci sono voluti mille giorni dal via al processo (1007 per la precisione), partito il 6 ottobre 2020 nell’aula bunker di Poggioreale e dopo sessantotto udienze, da un anno celebrate di nuovo nell’aula di Corte di Assise “Nunziante Scibelli” del Tribunale di Avellino si era giunti al verdetto. L’undici luglio scorso , proprio nell’ aula Nunziante Scibelli e’ il presidente Scarlato (che tra l’altro era stato giudice anche al primo processo al Clan Partenio, quasi venti anni prima ai boss del clan Genovese)a leggere il dispositivo della sentenza. Venticinque anni al boss Pasquale Galdieri, ventuno a suo fratello Nicola e a Carmine Valente, detto Caramella, condanne a più di 24 anni per Carlo Dello Russo. Una vera e propria stangata al Nuovo Clan Partenio, con condanne per quasi tre secoli di carcere. La sentenza era arrivata dopo cinque ore di camera di consiglio. In aula erano presenti sia il pm antimafia Simona Rossi che i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino che si sono occupati delle indagini.