Nuovo clan Partenio, minacce al teste: c’è il processo di Appello per Freda

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tribunale di napoli

AVELLINO – Prenderà il via il prossimo cinque maggio davanti ai giudici della V Sezione Penale della Corte di Appello di Napoli il processo di secondo grado al presunto affiliato al Nuovo Clan Partenio Renato Freda, condannato in primo grado a due anni, due mesi e venti giorni dal Gup del Tribunale di Napoli Gabriella Logozzo per intralcio alla giustizia aggravato dal metodo mafioso.

In quella sede saranno discussi i ricorsi presentati dai difensori di Freda, gli avvocati Patrizio Dello Russo e Fernando Letizia. Le indagini erano state condotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Avellino coordinati dalla pm antimafia Anna Frasca. Nella sentenza depositata dal Gup che ha condannato Freda e assolto invece dalla stessa accusa Gnerre non solo non si è costituito parte civile, ma ha sempre ribadito la medesima versione dei fatti per quel che concerne la condotta dei soggetti che lo avevano avvicinato, ovverosia, in relazione al capo A) della rubrica, di essere stato “avvertito” da Freda affinché non si presentasse all’udienza per rendere testimonianza, il quale gli aveva anche intimato di fare attenzione a quello che avrebbe detto. In definitiva, Gnerre Alfonso è stato a tratti confuso nella descrizione dei fatti, ma sufficientemente preciso nel rappresentare gli aspetti più salienti delle minacce subite. Le difficoltà riscontrate nel corso della sua deposizione, tra l’altro, sono pienamente comprensibili se si considera la spavento subito dalla p.o. (parte offesa ndr) a causa delle aggressioni. Ciò si evince anche dall’epilogo della vicenda, considerato il fatto che Gnerre ha simulato la propria scomparsa a seguito degli episodi delittuosi di cui risulta vittima non presentato, essendo stato citato come testimone, nel processo c.d. “Nuovo clan Partenio” se non a seguito di accompagnamento coatto, disposto anche da questo giudice a fronte della sua mancata comparizione. A riprova di questo, basta considerare che anche nell’ambito dell’odierno procedimento lo stesso ha più volte esternato il proprio timore nel rendere la testimonianza.

La sopra evidenziata mancanza di precisione, ad ogni modo, anzichè indebolire l’impianto accusatorio, non fa che corroborarlo. Posto che le difficoltà riscontrate nel corso della sua deposizione sono pienamente comprensibili se si considera il clima di omertà che caratterizza il contesto territoriale in cui si sono verificati i fatti. Non può, quindi, adombrarsi alcun dubbio ordine alla strumentalità delle accuse mosse da Gnerre, il quale seppur a tratti ha cercato di ridimensionare la portata dell’incontro con Freda. Ha descritto a chiare lettere la valenza intimidatoria del suo intervento nella vicenda scaturita dal prestito effettuato alla p.o. da ….., essendosi l’imputato avvicinato alla p.o. per costringerlo a commettere il reato di rendere falsa testimonianza, non assumendo rilievo la circostanza che lo stesso abbia posto in essere o meno una minaccia esplicita, come verrà precisato in seguito. Trattasi, in definitiva di soggetto intervenuto nella vicenda, non in virtù del mero rapporto di conoscenza con Gnerre, ma per quello dallo stesso intrattenuto con Dello Russo.

Per il Gup anche le argomentazioni utilizzate dalla difesa per “minare l’attendibilità del teste, risultando le stesse prive di qualsivoglia addentellato concreto, dovendosi, inoltre, ribadire che le contraddizioni emerse nel corso della testimonianza hanno avuto ad oggetto circostanze secondarie , non incidenti sul nucleo essenziale del fatto, che risulta essere di agevole ricostruzione”.
Nessuna impugnazione dell’Antimafia per l’assoluzione di Massimo Evangelista, difeso dal penalista Gaetano Aufiero. Per lui l’assoluzione è passata in giudicato.