Nativi precari, le rinunce e i sacrifici dei giovani: la ricerca Iref

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Dopo i ‘nativi digitali’ spuntano i ‘nativi precari’, ovvero gli italiani sotto i 30 anni nati durante la crisi.

A coniare questo neologismo uno studio redatto dall’Iref, l’ente di ricerca delle Acli.

Dallo studio è, infatti, emerso che i nati negli anni ‘90 sono disposti a rinunciare ad alcuni diritti pur di ottenere (e mantenere) un posto di lavoro, ma anche per raggiungere una meta professionale.

La ricerca parla di “obbedienza preventiva alla precarietà”, una sorta di imprinting per i nostri giovani “talmente incorporata nelle loro vite da far loro accettare in maniera preventiva le penalizzazioni del mercato del lavoro”.

Riguarda il 35% degli intervistati, percentuale che sale al 38% se l’under 30 non è laureato e vive in Italia, mentre tocca appena l’11,3% se vive all’estero: anche se «nativi precari», gli expat italiani fanno esperienza di un mercato del lavoro meno bloccato e quindi sono meno disposti a rinunce, come invece i coetanei rimasti in patria.

In generale, solo l’11,7% disobbedirebbe all’imprinting. Ma se poi si rischia il licenziamento ecco allora che solo il 32,8% non accetterebbe alcuna deroga. Perché almeno uno su due invece, pur di tenersi il posto, lavorerebbe nei giorni festivi, salterebbe le ferie (16,7%), rinuncerebbe a parte dello stipendio (12,4%), o ai giorni di malattia (10,5%).

Secondo lo studio quindi, pubblicato su il Corriere.it per i millennials le rinunce fanno parte del progetto professionale, si tratta di una nuova forma di gavetta: si rinuncerebbe anche allo stipendio (33,2%) o ci si accontenterebbe di una retribuzione bassa (34,6%).