Moscati al centro della ricerca: De Stefano illustra il progetto

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Avellino – La Città Ospedaliera di Avellino si propone come fiore all’occhiello della sanità irpina. Lunedì scorso la struttura è stata visitata dall’assessore regionale alle Politiche Sociali, Rosa D’Amelio, dai senatori Anna Maria Carloni e Andrea De Simone, dall’assessore comunale alle Politiche Sociali Mirella Giova, e dal segretario cittadino della Quercia, Gerardo Adiglietti. Nel corso della visita il Moscati si è presentato come protagonista di un progetto sperimentale sulla fertilità delle donne colpite da malattia oncologica che non preclude loro la possibilità di procreare. A tal proposito abbiamo cercato di approfondire l’argomento, parlandone con il dottor Cristofaro De Stefano, esperto in materia e principale promotore dell’iniziativa, che ha spiegato nei dettagli di cosa si tratta. Un progetto complesso, di difficile attuazione, che potrebbe regalare alla struttura irpina notevoli soddisfazioni. Uno studio che si differenzia molto dalla fecondazione assistita e da precedenti lavori. Del piano di ricerca se ne occupa il Dipartimento Materno Infantile dell’Ospedale Moscati, più nello specifico l’Unità Operativa di Fisiopatologia della Riproduzione, il cui responsabile è il dottor Francesco Finelli, mentre il Direttore Scientifico è il dottore De Stefano, oggi nostro interlocutore.
Il Moscati, struttura capofila di un importantissimo progetto sperimentale di ricerca sulla fertilità delle donne colpite da malattie oncologiche: come si è arrivati a tutto questo? “La nostra unità operativa, che si occupa della diagnosi e cura della sterilità e della procreazione assistita, unita a quella di altri 4 ospedali italiani (il Galliera di Genova, il Sant’Anna di Torino, il Santa Maria Nuova di Reggio Emilia) e l’Istituto Superiore di Sanità ha presentato al Ministero della Salute un progetto per promuovere le iniziative che consentano di conservare la fertilità nei pazienti oncologici, che hanno malattie tumorali in età giovanile, uomini e donne. Significa che un uomo ed una donna su cinquecento, quando si trovano nell’età produttiva, hanno avuto l’incontro con una malattia neoplastica”.
Come si attua il progetto di ricerca e da cosa è nata l’idea di strutturarlo? Quali sono gli obiettivi e a cosa serve ?
“Ogni ospedale deve elaborare strategie finalizzate alla conservazione della fertilità per le donne colpite da un tumore. Le ovaie possono essere danneggiate dalla chemioterapia, radioterapia e dalle pratiche chirurgiche. Questo perché i suddetti trattamenti sono tossici e possono portare ad un deterioramento delle cellule della linea riproduttiva. Il lavoro è come si può capire molto complesso”.
Ci provi a spiegare anche quali sono le differenze con la sterilità maschile, alla quale è già stata trovata una valida alternativa.
“Per gli uomini è più semplice, ci sono procedure note. I maschi colpiti da tumori, che sono poi costretti a sottoporsi alle già citate terapie, hanno la possibilità di congelare il liquido seminale e quindi tentare la riproduzione. Per le donne questo non è attualmente possibile”.
Qual è il primo passo?
“L’ideale sarebbe evitare la tossicità dei farmaci sulle cellule della linea riproduttiva. Per porre rimedio a questo grave problema è necessario realizzare strategie che consentano di prelevare le cellule uovo o frammenti di tessuto ovarico, conservarle per il tempo necessario perché le terapie siano concluse e dare successivamente alle donne l’opportunità di concepire”.
Studi e tecniche rare nel mondo. Perché?
“Sono sistemi sperimentali. Al mondo ci sono state pochissime nascite con tali terapie e l’impegno di questo gruppo di ricercatori è definire le modalità più opportune per conservare queste cellule. Se si riescono a preservare frammenti più o meno grandi di tessuto ovarico, si possono riposizionare sulla superficie delle ovaie persino con una possibilità di ripristino della fertilità naturale. Questo progetto di ricerca è estremamente complesso e proprio per questo motivo abbiamo concordato con più esperti nel mondo una strategia comune. Si è costituito a tal proposito un Comitato Scientifico Internazionale, presieduto dal dottor Pasquale Patrizio, medico napoletano che è Direttore Scientifico dell’Università di Yale. Del Comitato fanno parte 7 personalità: italiani, israeliani, americani, francesi. Tra gli italiani spicca il nome di Umberto Veronesi. Quest’attività vede il sostegno dell’Associazione americana ‘Fertile Hope’ (Speranza di fertilità), nata dall’esperienza di una donna che negli Stati Uniti si è sottoposta a questo programma con successo e finanziata dalla fondazione “Lance Armstrong”.
Quali potrebbero essere i tempi per la realizzazione di questo progetto? “Entro la fine dell’anno saranno chiari gli aspetti organizzativi per la prima fase di studio. Credo che nei prossimi due anni saremo perfettamente efficienti e questo grazie all’impegno del Direttore generale del Moscati, dott. Rosato ed al lavoro di un team di giovani ed entusiasti professionisti che collaborano con grande abnegazione, nonostante le tante difficoltà che la ricerca incontra soprattutto in Italia”.(di Giovanni La Rosa)

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