Volteggiare con grazia sulle scarpette da punta, avvolte nella nuvola di un candido tutù “Degas”, guizzare come una fiammata di pura energia sulle note di suggestive atmosfere contemporanee, è un sogno per tantissime bambine.
Un sogno che spesso si tramanda di madre in figlia e che comporta, prima di arrivare all’agognato appuntamento con l’applauso del pubblico, il costante esercizio della dura disciplina dell’apprendimento e dell’allenamento.
Dietro tanta leggiadria, infatti, c’è tanto sudore e sacrificio, le ballerine e i ballerini, perciò, sono fiori d’acciaio, coltivati in sala nelle lunghe ore di esercizi “à la barre” e di prove in palcoscenico per sbocciare nella luce dei riflettori e rinnovare la meraviglia di un’arte tra le più pure e raffinate.
La danza, infatti, è rituale, evocazione, poesia, atletismo, simbolo, energia; un mondo intenso che richiede una dura iniziazione per poterne far parte, spesso, come le falene e gli atleti in generale, per una breve stagione.
Ciò che rimane per sempre, in ogni caso, è l’inprinting dato al corpo, la bellezza del portamento, l’elasticità dei muscoli e delle articolazioni e le tante emozioni vissute nei saggi e negli spettacoli, per chi approda al professionismo.
Non va trascurato l’aspetto più puramente pedagogico della pratica della danza che, infatti, sa insegnare il rispetto delle regole e dei ruoli, la precisione e il rispetto nel condividere la sala con la classe, lo studio e l’impegno come unico strumento per superare i limiti del corpo non allenato verso traguardi sempre più arditi e ambiziosi; insomma, una scuola di vita eccellente che educa alla crescita personale e ad una sana competizione.
Per entrare un poi meglio nella danza ad Avellino, rivolgiamo qualche domanda a Melania Areopagita, docente di danza classica e modern jazz e direttrice della Compagnia della Danza che ha da pochi giorni concluso l’anno accademico con il rituale Spettacolo di fine anno al Teatro Gesualdo di Avellino.
“La danza è poesia perché il suo fine ultimo è esprimere sentimenti, anche se attraverso una rigida tecnica. Il nostro compito è quello di far passare la parola attraverso il gesto”, Melania queste parole sono di Carla Fracci, di recente passata per la sua scuola, che vuol dire oggi la danza per le giovani ballerine avellinesi?
“Ospitare la Fracci è stato veramente emozionante, lei è la Danza. Ancora oggi ogni giorno si allena facendo cento “plié” ma, soprattutto, trasmette ancora pienamente la magia della danza, ad Avellino ha avuto modo di valutare un paio delle mie allieve. Una di loro è stata presa al San Carlo, l’altra è in attesa di riscontro da un altro importante teatro; per tutti coloro che hanno partecipato all’evento rimarrà di sicuro l’emozione e il piacere di aver fatto lezione con una delle più grandi “etoiles” di tutti i tempi, una donna elegante e gentilissima che ha insegnato tanto a tutti noi. Nella nostra città, ovviamente, paghiamo lo scotto di essere in periferia rispetto ai grandi teatri e alle grandi compagnie, noi insegnanti abbiamo il compito di sapere riconoscere il talento e indirizzarlo per tempo verso scelte professionali adeguate. Come per gli atleti e anche per i concertisti, infatti, ciò che si può fare ad una certa età non si può fare altrettanto bene andando avanti negli anni, bisogna che l’insegnante abbia l’occhio lungo e sappia indirizzare l’allievo più dotato, accompagnandolo sempre e lasciandolo andare e volare via quando è il momento”.
Rispetto ad alcuni anni fa la situazione della danza ad Avellino è cambiata, dalla presenza del Teatro Gesualdo che propone degli spettacoli professionali, alle scuole come la sua che consentono agli allievi di apprendere da grandi maestri ospiti.
“Rispetto agli anni della mia formazione sicuramente si. Mi sono laureata in giurisprudenza proprio per non interrompere gli studi di danza, ho dovuto tanto viaggiare e studiare fuori. E’ per questo che ho voluto donare alla città la possibilità di frequentare gli stage con personaggi come Raffaele Paganini, Carla Fracci, Giuseppe Picone, Steve La Chance, Anbeta Toromani e tanti altri. Ho voluto facilitare le piccole artiste di questa città e le loro famiglie, è il mio contributo personale alla diffusione di quest’arte tra i giovani. Spero anche che presto si abbatta il pregiudizio che riguarda i maschietti, sui miei 160 allievi, infatti, solo un paio di ragazzini studiano danza classica. E’ un pregiudizio da sfatare, la danza classica è atleticamente impegnativa come qualsiasi altra disciplina sportiva ma, in più, modella il corpo e il portamento come nessuna e incrementa la cultura perché ci si confronta continuamente con il lavoro di grandi compositori e coreografi, con la storia e l’arte in generale”.
Allestire uno spettacolo è un momento di grande lavoro ma anche di grande coesione, fanno parte della squadra infatti anche le famiglie…
“Quest’anno eravamo in 106 sul palco, si può immaginare la fatica! Ma è anche altamente premiante per chi insegna, come me con il mio staff, poter far confrontare i nostri allievi con il grande repertorio e con stili più moderni come l’hip hop nel quale siamo aiutati dal coreografo di Amici Daniele Baldi con il suo staff. Quale che sia lo stile che si porta in scena l’emozione è sempre la stessa: prima tanto lavoro, tanta ansia e tensione e poi tutto si scioglie sotto i riflettori e diventa magia, unione con il pubblico e l’applauso finale ripaga di ogni fatica e fa sparire lividi e sudore. Le famiglie sono indispensabili, forse si può dire che si uniscono e diventiamo tutti una sola grande famiglia-compagnia”.
Se potesse esprimere un desiderio, quale sarebbe?
“Vorrei innanzitutto che le mie allieve trovassero la propria strada e si realizzassero in quella. C’è chi è più bravo a danzare, c’è chi può fare regia o costumi o cantare o altro, in ogni caso vorrei vederle tutte felici per aver realizzato il proprio sogno”.