Mai fatto niente sul ponte Morandi: tutto quello che la strage di Acqualonga non ha insegnato

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Renato Spiniello – “Sul ponte Morandi di Genova non si è mai fatto niente. Nessun controllo serio e serrato nonostante il calendario trimestrale. Così ci dicevano di fare e noi non potevamo fare altro”.

Dopo trentacinque giorni di interrogatori a una trentina di testimoni e a quattro dei venti indagati a vario titolo per omicidio colposo plurimo, disastro colposo, attentato alla sicurezza dei trasporti e omicio stradale, tutti conclusisi avvalendosi della facoltà di non rispondere, a rompere il muro di silenzio, smossi forse dalla coscienza, sono due tecnici di Spea, la società delegata da Autostrade per l’Italia al monitoraggio delle rete autostradale.

Parole che hanno fatto scattare in avanti l’inchiesta giudiziaria della Procura di Genova, ma che al tempo stesso hanno confermato la tesi unanime che quella strage si doveva evitare, che quelle 43 vite non dovevano spezzarsi così.

A far riflettere sullo stato di fragilità di un Paese come il nostro friabile quanto una parete di cartongesso è in più un’altra vicenda giudiziaria relativa a un incidente autostradale non dissimile da quello del ponte Morandi, ovvero la strage di Acqualonga del 28 luglio 2013, in cui persero la vita 40 pellegrini di ritorno da una gita religiosa. Le vittime precipitarono da un’altezza di venti metri dopo aver sfondato a bordo di un pullman le barriere del viadotto autostradale.

Quell’inchiesta, portata avanti dai pm Rosario Cantelmo e Cecilia Annecchini, vede iscritti all’albo degli imputati per i medesimi reati di cui sono accusati dalla Procura di Genova lo stesso amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, Paolo Berti, attuale condirettore operation e all’epoca di Acqualonga direttore del Sesto Tronco, e Riccardo Mollo, ex direttore generale di Autostrade.

Elementi che non possono che ispirare una profonda riflessione sul perché non sia stato avviato in questi anni un piano serio di investimenti per la manutenzione e la sicurezza di delicate e nevralgiche infrastrutture come i ponti e i viadotti autostradali. Processi come quello di Acqualonga avrebbero dovuto scandagliare gli aspetti relativi ai temi della sicurezza stradale e della gestione delle relative infrastrutture e invece a distanza di cinque ci ritroviamo a piangere le ennesime vittime.

E’ per questo – e per evitare ulteriori stragi sulle strade italiane – che il Procuratore Cantelmo all’ultima udienza presso il Tribunale di Avellino ha chiesto di verificare se sussistano in tratti autostradali simili al viadotto dell’A16 condizioni di compromissione grave dei sistemi di ancoraggio. Sull’istanza deciderà il giudice monocratico Luigi Buono il prossimo 5 ottobre, sperando che quest’ultima voce non resti l’ennesima inascoltata.

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