Non chiediamoci quanto sia fedele l’immagine che rimanda il nostro specchio, essa non muta espressione se la sorprendiamo con un movimento improvviso, non risponde alle nostre domande, non ci illude, non ci spaventa. Sappiamo esattamente cosa incontriamo nel nostro riflesso, quello che cambia è quanto vogliamo essere onesti con noi stessi o quanto riusciamo ad indossare le “lenti della coerenza”, quella sottile distanza tra l’essere e l’apparire.
Non parlo di superficialità, ma della complessa e talora dolorosa capacità emotiva di indossare i propri panni senta sentirli pesanti quanto maglie di acciaio. L’altro è l’ospite alieno, scomodo e feroce, che non osiamo abitare perché percepito come distante, intrusivo, estraneo. Ogni “arredo” della nostra anima occupa spazi difficili da rivendicare anche quando hanno spigoli taglienti che feriscono l’anima. La guerra solitaria contro i propri nemici interni è persa in partenza perché si lotta strenuamente contro sé stessi.
Scrivo perché chi legge queste righe possa liberare le lacrime e con esse lasciare che scorra via quel muto rancore che non osa esprimere, quella irrazionale paura di essere battuti, inesorabilmente.
Scrivo perché chi legge possa riuscire a riconoscere che quel nemico tanto temuto ha un solo nome, il più roboante e feroce, DEPRESSIONE; lo scrivo in maiuscolo perché ci vuole coraggio a riconoscere di non essere “sbagliati”, “persi”, “sconfitti” da una vita ingiusta, ma solo fragili, bisognosi di quell’appiglio rassicurante che possa rincorrere e raggiungere l’agognata tappa: la GUARIGIONE.
Scrivo perché chi legge possa aprirsi alla possibilità di un aiuto, quel passo così faticoso che può mutarsi nel più leggero dei voli, liberi dei fardelli della disperazione.
Scrivo perché si può, si deve inseguire la vita anche quando, erroneamente, ci sembra una condanna da espiare; non si vola senza ali, ma si è leggeri senza le catene che ci trattengono al suolo.
Scrivo perché non si è soli se ci concediamo uno sguardo desideroso di incontrare altri occhi, se un sospiro si traduce in parola, se le mani allentano quel pugno serrato per aprirsi al mondo, anche una sola volta, per un solo istante, il tempo necessario di lasciarsi accarezzare dalla vita.
a cura della Dott.ssa Mariangela Acernese
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