Da Il Biancoverde n. 24 del 21/02/2014
Questa settimana la rubrica “L’opinione di…” è dedicata al giornalista sportivo Daniele Miceli.
“Mi viene chiesta questa chiacchieratina con “Il Biancoverde”, e mi intrattengo volentieri anche se avrei preferito farlo in esito ad una partita modello standard dell’Avellino e nella piena applicazione della leggendaria “Legge del Partenio” – dichiara -. Non è così, ma discutere con spirito critico e costruttivo, e distante da demagogie e inutili processi, dopo una sonora sconfitta ha i suoi lati positivi, soprattutto se oggetto dell’analisi è una squadra, un gruppo, che hanno più volte dimostrato di che pasta son fatti. E una dolce “carocchia” verbale dopo una sfilza di coccole sarà curativa, terapeutica, stimolante.
La sconfitta di sabato scorso è una eccezione nello straordinario cammino di questi ragazzi, ma anche un’antipatica, quanto inopinata, conferma che l’incipit di questo 2014 per ora disattende i buoni propositi esplosi con il tappo dello champagne al 3-2-1 della notte di San Silvestro. Quattro partite, due punti. Due sconfitte, un pareggio che avrebbe meritato miglior sorte (Terni), e uno strappato con le unghie (Latina). Poco e niente per una squadra abituata a fare di più, sul piano del rendimento ancor prima che su quello prettamente numerico refertato dalla classifica. Che resta straordinariamente bella.
E allora la domanda, ovvia, sbuca ad ogni angolo di strada di una provincia che di pallone ci campa da sempre. E’ finita la magia? La risposta ufficiale la conosceremo nello stretto fazzoletto dei prossimi impegni, quella ufficiosa possiamo abbozzarla: no.
Per una semplice, ma convincente (almeno credo) argomentazione. Insita, peraltro, nei numeri. Al netto di un mercato complementare e di completamento-rosa più che di potenziamento, l’Avellino – prosegue – ha chiuso al terzo posto il girone di andata, addirittura staccando le inseguitrici. Il “C’era una volta” con le missioni impossibili ed il lieto fine è roba fiabesca, e nella vita reale se non hai un minimo tasso di merito ti ritrovi faccia al muro. Ammesso che tu abbia una casa per averlo. Dunque, non possono essere stati il caso e la buona sorte a trasformare giocatori dal nome non accattivante in animali (nel senso positivo del termine) da campo. Affermare il contrario significherebbe mortificare il concetto di obiettività, sminuire il lavoro eccellente dello staff e, soprattutto, certificare in proprio di non aver visto una partita una dell’Avellino in questo campionato.
Ma allora cosa succede? Proviamo ad investigare, anche sulla scorta dei “suggerimenti” che piovono dai social, i templi della viralità, e non per forza della verità. Condizione fisica? Può essere, ma certamente non è il fattore primario. Al massimo è una concausa, per di più condivisa dalla stragrande maggioranza (se non assoluta) delle squadre del pianeta: nessuno è al meglio dopo panettoni, pandori , cenoni e un mese di stop. E poi: se a Novara sbagli la partita, ne sbagli metà contro il Latina, e poi fai fuoco e fiamme nei venti minuti finali contro i laziali e nei 90 di dominio a Terni, ti accorgi che la “questione fisica” non può essere il “movente” di questa mini-crisi (un parolone, diciamo striscia negativa).
Rinforzi inadatti? Anche qui qualche dubbio, in attesa delle riprove da campo sul medio termine. Non sono arrivati Messi e Cristiano Ronaldo, nemmeno Marilungo, De Luca o Zito, ma “bocciare” i nuovi innesti è prematuro e controvertibile. Certo, non sono garanzia a scatola chiusa di un salto di qualità, eppure determinano un allungamento della rosa in termini numerici e qualche diversificazione nella struttura di gioco; fattori che potrebbero tornare più che utili. Nel merito e nei singoli: De Carli ha giocato benissimo a Terni, mentre ha lasciato a desiderare (come tutta la squadra) a Novara e, soprattutto, nell’ultima contro il Lanciano quando alcuni errori individuali hanno fatto rumoreggiare anche una Tribuna Terminio che ometteva di farlo da un annetto a questa parte. Ci può stare. Ma il ragazzo ha i mezzi, i precedenti incoraggianti a Livorno, va sostenuto e sa fare molto meglio. Ciano. Altra storia. Decisivo contro il Latina, è entrato a babbo morto domenica scorsa e valutarlo negativamente solo per qualche egoismo di troppo al tiro è una ingiustizia. E’ un jolly da sfruttare. Così come Pizza, ingiudicabile per il semplice fatto che contro i frentani gli hanno chiesto di fare ciò che mai ha fatto. Almeno a mia memoria: l’esterno destro. Assolto in pieno. Mettici pure Ladriere, pronto al rientro, e ti accorgi che la magia non certo può essere finita perché il mercato è andato male. Troppa disparità tra la montagna di punti del girone di andata, accompagnata anche da un gioco arioso ed efficace, e la miseria last month.
Mi direte: “Questo non è, quello nemmeno, allora ce le siamo sognate queste sconfitte?”. No, purtroppo. E arriviamo a quello che secondo me è il punto dal quale ripartire per ripercorrere le orme di un autunno 2013 da sballo. Innanzitutto compattezza ed equilibrio. Sembra una banalità, non lo è. La sottolineatura che contro il Lanciano mancassero Zappacosta, Arini e Izzo è facilmente smontabile. Almeno in parte, e in modo piuttosto netto. Nel girone d’andata l’Avellino ha giocato e vinto altre partite, con una rosa molto più risicata e contro avversari certamente più impegnativi (nel pieno rispetto di un organizzato Lanciano). Il vulnus è proprio qui. Se l’Avellino non vuole spedire in campo il fratello brutto, e vanificare quanto di concreto e a volte edonistico fatto finora, deve ritrovare se stesso, i suoi equilibri, le sue gerarchie. Già, l’equilibrio: quello saltato per esempio con il Lanciano.
La coperta era corta, ma probabilmente non tanto da invadere il campo delle scelte obbligate. La decisione di rilanciare Abero, che a gennaio si voleva rispedire al mittente (ci sono le interviste), e di schierare Pizza fuori ruolo ha innescato un circolo vizioso per il quale ha pagato su tutti un altro (ri)debuttante: Togni. Che, diciamocela tutta, il peggiore in campo non è stato e ha fatto meglio che in altre circostanze, sempre specificando che non ci voleva molto. Da uno come lui e con il suo pedigree la platea avellinese si aspetta molto di più. E i fischi, forse in parte ingenerosi, spero serviranno a ricaricarlo e non a demoralizzarlo. Idem per De Carli, fermo restando che è stato l’atteggiamento difensivo nella sua totalità ad implodere nell’ultima di campionato. Ci sta la sconfitta (gli episodi hanno favorito il Lanciano, che però ha avuto il merito di averli prodotti), ci sta il calo, ma non te lo aspetti con quelle modalità da una squadra che nel girone di andata aveva eretto la sua roccaforte su un’organizzazione svizzera, esibendo una difesa impenetrabile e attenta manco fossero guardie davanti al Vaticano.
Quell’atteggiamento, quell’attenzione vanno ritrovati. Assieme ad un pizzico di fortuna e a qualche infortunio in meno (è stata travagliata la settimana che ha portato all’ultima debacle). Troppo vistosi gli errori di questo 2014 per essere attribuibili all’Avellino che tutti conosciamo. E che speriamo di rivedere presto. Equilibrio, in primis. E pari merito la mentalità, la fame.
Personalmente batto su questo tasto (sperando non diventi dolente) da inizio dicembre quando ad ogni vittoria dei lupi faceva seguito il famoso “Dobbiamo salvarci”. La frase più pericolosa che si possa pronunciare, checché ne dicano i protagonisti del campo. Sarà una questione di opinioni, ma continuare a ripetere che quello è l’obiettivo quando ormai l’hai già virtualmente centrato con un girone di anticipo diventa propellente per possibili cali di tensione e sindromi di appagamento varie. Il vero pericolo è questo, non la rosa corta (era molto più corta e meno qualitativa prima, e ditemi che non è così) o la condizione fisica (che prima o poi riemergerà in tutta la sua potenza). L’Avellino deve fare l’Avellino, rincorrendo il suo passato recente e costruendoci sopra nuovi mattoni di ottimismo con gli ingredienti di sempre: gruppo, equilibrio e mentalità. Se lo farà, durante e a fine torneo sarà esaltato come se fosse salito in serie A. Che ci vada per davvero o che “semplicemente” si salvi – conclude Miceli – .