Una “fotografia da strada” piena di poesia nelle immagini del fotografo avellinese Filippo Cristallo.
Con immagini intense esclusivamente in bianco e nero, Filippo Cristallo ha saputo conquistare l’attenzione degli avellinesi in occasione della sua prima personale dal titolo “My Mexico”, recentemente conclusasi al Circolo della Stampa. Una fotografia “di strada” la sua, che cerca nei quartieri malfamati, nei vicoletti, nelle feste popolari quei momenti di autenticità popolare che, negli anni passati, ha cercato nella musica.
Correva la fine degli anni ’90, infatti, quando Filippo Cristallo ideò e portò avanti con successo alcune edizioni della rassegna “Sensi sonori” dedicata, appunto, alle contaminazioni tra la musica popolare e gli altri suoni e alla scoperta delle tradizioni popolari dell’Italia Meridionale.
C’è infatti ritmo e musica infatti in queste immagini, e pause di silenzio in cui il fotografo coglie il momento magico per scattare e immortalare attimi unici e irripetibili, sguardi, gesti, abbigliamenti di mariachi, sguardi illanguiditi dalla tequila, lineamenti che portano le tracce di incredibili mescolanze di etnie, donne e bambini dalla vita durissima, uomini che lottano per vivere ma conservano la forza per un sorriso, oppure no.
Un viaggio, una scoperta, a volte la ferita di quello che non si vorrebbe vedere, questa l’avventura di un fotografo che sceglie una narrazione molto prossima al reportage giornalistico, per confondere le certezze dello spettatore, le sue immagini mentali prefabbricate, con imprevedibili squarci di bellezza, di malinconia, di amore.
Filippo Cristallo, com’è nata la passione per la fotografia?
“Nasce per caso e soprattutto grazie all’avvento del digitale, che senza dubbio né ha favorito l’approccio, da pochi anni quello che per me era un semplice interesse è poi diventata una grande passione”.
Quali sono i suoi maestri o le sue fonti d’ispirazione?
“Attraverso il web ho ammirato e osservato i lavori dei fotografi nazionali e internazionali, Se dovessi fare dei nomi, i primi che mi verrebbero in mente potrebbero essere Cartier Bresson, Garry Winogrand , Elliott Erwitt”.
Quali sono le tecniche che predilige nella realizzazione dell’immagine?
“Non sono molto interessato alla tecnica; a parte trasformare in modo immediato gli scatti da colore a bianco e nero che prediligo, poi forma e composizione sono il processo che seguo per la realizzazione delle immagini”.
Paesaggio, reportage, ritratto, quali sono le diverse emozioni che le suscitano?
“Il paesaggio è stato Il mio primo approccio con la fotografia, anche perché essendo io alla prime armi difficilmente poteva sfuggirmi, successivamente ho scoperto con entusiasmo e curiosità la street photography, Si potrebbe dire che è un genere fotografico, più precisamente un genere di reportage. La street è infatti l’istantanea della vita urbana osservata per strada nella sua quotidianità e nei suoi molteplici aspetti. Le immagini di questo genere, vogliono essere lo specchio della società e delle persone che la compongono catturate durante la vita di tutti i giorni”.
Un episodio divertente e uno commovente dal suo album dei ricordi fotografici.
“Aneddoti non ne ho da raccontare, ma un po’ tutti gli scatti a cui sono affezionato sono segnati dall’esperienza di forte empatia stabilita con i soggetti immortalati. Non nascondo, però, che questa capacità mi ha consentito anche di evitare o superare situazioni pericolose, i posti dove scatto, infatti, non sono certo dei resort a cinque stelle”.
Quali sono le mostre o le pubblicazioni più importanti cui ha partecipato?
“Non ho molta storia, e di conseguenze anche le esposizioni sono poche, cito le più importanti la collettiva 12×12 dello scorso agosto in occasione della Bella Estate, e la mia prima personale conclusasi pochi giorni fa al circolo della stampa di Avellino, reportage dal titolo My Mexico, colgo questa occasione per ringraziare tutti i visitatori che sono stati tanti, e la stampa locale che non ha mancato nel sottolineare l’avvenimento”.
Oggi la fotografia è ormai completamente digitale, i tempi romantici dell’attesa in camera oscura sono quasi archeologia, ci può essere lo stesso calore nelle immagini,la stessa emozione e possibilità di lavorare i supporti come si faceva un tempo con i chimici e la carta?
“Non conosco il mondo dell’analogico, sono arrivato alla fotografia molto dopo, so che questo mondo è pieno di nostalgici, ma bisogna prendere atto che la fotografia è sempre più appannaggio del digitale, i cellulari, le piccole compatte, sino alle reflex, hanno avuto un ruolo fondamentale del risvegliare l’interesse che sembrava esaurito nei confronti del mondo fotografico, si certo è venuta meno l’emozione dell’attesa del risultato in camera oscura, ma saper utilizzare in modo professionale un software di post-produzione credo sia alquanto gratificante e stimolante”.
A suo avviso c’è abbastanza spazio per la fotografia nella nostra città?
“Nella nostra città c’è solo domanda e nessuna offerta, è necessario avere anche degli spazi fisici a disposizione, si pensi che in questa città non esiste un solo luogo attrezzato dedicato per esporre, questo la dice tutta sulla sensibilità e interesse che i nostri amministratori passati e non, nutrono per le arti visive”.
Quali sono gli altri fotografi irpini di cui apprezza il lavoro, a suo avviso c’è una “scuola avellinese” di fotografia? Possiamo eventualmente ricostruirne un po’ la storia?
“Non credo si possa parlare di scuola avellinese sulla fotografia, ma nonostante, in città ci sono diverse eccellenze ne cito alcuni: Antonio Bergamino, Francesco Chiorazzi, Gelida Vitale, Michele Mari anche se salernitano diventato ormai uno dei nostri, e poi Paolo Giolivo che insieme a Diego Iannaccone è stato il mio docente al primo corso di fotografia di base”.
Giovani e fotografia, se ne vedono tanti in giro con le reflex, c’è desiderio di imparare la tecnica oppure prevale l’approccio “istintivo” all’immagine?
“Tanti giovani in giro con la fotocamera? Questo è accaduto soprattutto come dicevamo prima per la semplicità del digitale, le nuove generazioni crescono con una diversa cultura dell’immagine dando spazio soprattutto alla creatività e all’istinto e ad una buona dose di comunicazione visiva, io sono per questo nuovo che avanza”.