L’importanza di essere Maarten Leunen, leader silente della Sidigas

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Ritorniamo a quel fatidico giorno di gennaio: mancavano quindici secondi alla sirena quando il professore Maarten Leunen ha messo la propria, autentica, firma sul destino della Scandone. Una tripla nel tempio dell’Olimpia Milano che consegnò alle scarpette rosse l’unica sconfitta casalinga da tre anni a questa parte. Appena qualche giorno dopo, sempre il numero 10 in casacca biancoverde, con una difesa da manuale sul palleggio del trentino Wright, regalò la finale di Coppa Italia agli avellinesi, persa il giorno dopo.

Sarebbe riduttivo, ma lo potremmo riassumere così San Martino da Avellino – e l’epiteto porta la firma di quel burlone di Zerini (vedi twitter) – Rimbalzi, assist, killer instict dalla lunga distanza, ma anche lavoro sporco e quella capacità di giocare la pallacanestro a 360 gradi che lo ha eletto, in appena due stagioni all’ombra del Partenio, a leader silenzioso e a regista aggiunto in un roster che vanta il play per antonomasia e che ormai non può più prescindere dal suo credo cestistico.

Maarty ci ha messo il suo anche in questa stagione con il 50% dei tiri da oltre l’arco andati a segno (9/18) e soprattutto con quella capacità di essere decisivo sempre in attacco come in difesa. E’ a Pesaro che il leader silente ha davvero fatto la proverbiale voce grossa. Una gara passata a strappare rimbalzi (5) e ad assistere i compagni e poi quelle due triple in sequenza che hanno definitivamente tarpato le ali ad una Consultinvest in vena di complicare la vita ai dodici di Sacripanti.

Certo se non fosse stato per la pletora realizzativa di Joe Ragland (21 punti), altro della vecchia guardia, ad aver accompagnato all’Adriatic Arena la prestazione del point-forward di Vancouver staremmo a scrivere, probabilmente, di un altro finale. Ma a volte fa bene elogiare i singoli anche in un gruppo tanto coeso, soprattutto se quel singolo, come ha affermato lo stesso coach della Beneamata, “sa prendersi responsabilità pur rimanendo altruista”.