Limata, il “conto alla rovescia” prima di uccidere Gioia: “E’ stata la figlia a chiedermi di ammazzarlo”

0
6714

Per Giovanni Limata uccidere il papà delle fidanzata, il povero Aldo Gioia, era diventata quasi una sorta di ossessione, una “missione”, un imperativo. Sul suo stato di whatsapp, negli ultimi giorni prima di quella maledetta sera tra il 23 e 24 aprile scorsi, aveva cominciato a mettere una sorta di countdown: -3, – 2, – 1. E poi, su un calendario da parete, il 24 aprile era segnato con una croce: quello sarebbe stato il “grande” giorno”. Insomma, il giovane di Cervinara aveva pianificato ogni cosa, aveva pianificato l’omicidio del 53enne di Avellino, “colpevole” di osteggiare il suo rapporto con la figlia, Elena.

La fredda lucidità di Limata è emersa nel corso della nuova udienza che questa mattina si è tenuta presso la Corte d’Assise del Tribunale di Avellino. Il 19enne ed Elena Gioia sono accusati di omicidio in concorso con l’aggravante della premeditazione. A sferrare materialmente le 14 coltellate mortali, fu proprio Limata.

Il racconto di quella sera di aprile è di nuovo tornato in aula con le parole di due amiche del ragazzo, Sonia Guerriero e Sara Clemente, madre e figlia di Cervinara, le due donne che il 24 aprile andarono a riprendere Limata ad Avellino, riportandolo a casa dei genitori in valle Caudina.

Sonia Guerriero ricostruisce, innanzitutto, il rapporto che aveva con il ragazzo. “Lo conosco da anni, ci frequentavamo con la famiglia. Nel mese di ottobre del 2020, venne a vivere a casa nostra, cosa che ha fatto fino ad aprile del 2021. Aveva problemi con i suoi genitori, ma non so di che genere: da qui la decisione di trasferirsi da noi. Per me, era come un figlio”.

Sonia, che di mestiere fa la bracciante agricola, ammette di aver visto un po’ strano il ragazzo negli ultimi tempi, quelli antecedenti l’’omicidio. “Era sempre in giro, aveva sempre il cellulare in mano, ormai lo vedevo poco, soprattutto negli ultimi tempi”.

Poi il racconto della sera del 23 aprile. “Mia figlia era al telefono a scambiarsi messaggi con Giovanni. Era preoccupata, perché aveva notato degli strani stati su whatsapp (quelli del countdown). E poi avevamo visto la croce sul calendario, sul giorno 24 aprile. Mi chiese di accompagnarla ad Avellino per capire dove fosse Giovanni. Sentiva che stava succedendo qualcosa di strano. Mi convinse, così prendemmo l’auto e andammo. Al telefono con mia figlia, verso le 22, disse che era a piazza Macello e che doveva fare una cosa importante. Poi per più di mezzora non ha più risposto. Ci ha richiamato verso le 22.35, era agitato, ci chiedeva di andarlo a prendere. Lo trovammo in via Circumvallazione che correva verso di noi. Era sconvolto, terrorizzato”.

La donna di Cervinara gli chiede cosa fosse successo. Glielo chiede una, due, tre volte. Alla terza, Giovanni risponde in maniera netta: “Ho ucciso il padre di Elena con tre coltellate. L’ho fatto perché è stata lei a chiedermelo. Dovevo ammazzare tutta la famiglia. A quel punto ho pensato che la cosa più giusta da fare, fosse quello di riportarlo a casa, a Cervinara, dai genitori”. E così fece la signora Guerriero. Riaccompagnò Giovanni a casa e se ne tornò, con la figlia, a casa sua. Andò di nuovo a casa di Giovanni verso l’una, perché la polizia la cercava. Fu portata in Questura. Anche Sara.

Gli avvocati, a cominciare dall’avvocato Cesta che difende i fratelli di Aldo Gioia che si sono costituiti parte civile nel processo, chiedono maggiori dettagli su Giovanni. “Era un ragazzo normale della sua età, giocava spesso ai videogiochi con il cugino ed aveva un rapporto bellissimo con mia figlia. Mi è subito entrato nel cuore, ha avuto una vita sfortunata, avrebbe avuto bisogno di maggiori cure da parte della famiglia. Non mi ha mai accennato a cattivi rapporti con i genitori di Elena, anzi, mi diceva che era ottimi”.

Sonia Guerriero racconta che Giovanni dormiva in camera, in un letto a parte, con l’altra sua figlia, Laura. “Non gli ho mai fatto mancare niente, gli davo dei soldi. Era come un figlio per me. Non sapevo che voleva uccidere il padre di Elena. Se lo avessi saputo, lo avrei chiuso in casa e non lo avrei più fatto uscire”.

L’avvocato Francesca Sartori, che difende mamma e sorella di Elena che si sono costituite parte civile contro Limata, consegna alla Corte d’Assise uno scambio di messaggi avvenuto tra il ragazzo e la signora Sonia Guerriero, dai quali emergerebbe una “anomala intimità” tra i due. Un fatto inedito che, però, Guerriero nega completamente.