Grottaminarda – Riceviamo e pubblichiamo:
“Strano paradosso della politica quello dell’età! Ai giovani desiderosi di impegnarsi in politica si suole eccepire che sono troppo giovani e devono farsi le ossa; ai non più giovani si dice che devono farsi da parte perché ormai le ossa se le sono già fatte. Ma quale è, se esiste, una età per fare politica? Probabilmente è quella di chi ritiene che l’età giusta sia solo la propria? O è possibile individuare un intervallo al di fuori del quale si deve, per regio decreto, restare fuori della vita politica?
Abbiamo assistito negli ultimi giorni ad una sterile e poco edificante questione intorno ad una delle più brillanti menti politiche italiane il cui bagaglio culturale e politico, per una falsa idea di rinnovamento, è stato ritenuto troppo carico. E ciò senza considerare minimamente che quel bagaglio, per freschezza e lungimiranza, avrebbe garantito la storia ed il futuro. È un po’ come decidere di sostituire uno scienziato dalla indiscutibile capacità per raggiunti limiti di età negando alla scienza le innovazioni che avrebbe ancora potuto concepire? Dall’altro canto assistiamo da sempre e continuiamo ad assistere ad un tentativo di delegittimazione e marginalizzazione dei giovani a motivo della loro inesperienza e giovane età. Tentativo che li costringe quotidianamente a dover spiegare che l’età è data dalla risultante di un insieme di fattori (esperienze, capacità, cultura, …) che possono coesistere in un soggetto giovane talora più che in uno anziano.
Ora ci accingiamo a costruire un partito, il PD, che ha posto come slogan ed elemento qualificante il rinnovamento, ma sta rischiando di identificarlo, erroneamente, con il mero ricambio generazionale. Eppure la recente storia del post Tangentopoli, che ha visto, soprattutto con la Lega Nord, l’innesto brusco di persone estranee alla politica, i cosiddetti nuovi, ha chiaramente dimostrato che un’operazione di ricambio generalizzato non sortisce sempre effetti tanto positivi.
Chi scrive ha da poco compiuto 30 anni e avrebbe tutto l’interesse a sventolare questa bandiera, ma noi giovani non abbiamo bisogno di bandiere. Il vero rinnovamento, di cui certamente si ha bisogno, dovrebbe investire la mentalità, la cultura, i metodi e le regole. Rinnovamento dovrebbe significare avere il coraggio di considerare la saggezza e l’esperienza come perla preziosa da custodire gelosamente una volta trovata,. Ma avere anche il coraggio di selezionare la classe dirigente per meriti, offrendo davvero ai giovani gli strumenti concreti di partecipazione alla vita politica. Strumenti che non possono ridursi alle sole quote le quali, seppure in prospettiva utili ad innescare un meccanismo di coinvolgimento, allo stato rischiano di svilire la volontà partecipativa perché di per sé sole non sufficienti. Parafrasando le parole di Martin Luther King: ‘Anche quando un negro riesce ad affermarsi ad un gradino più alto della scala sociale c’è sempre qualcuno pronto a farlo ruzzolare più indietro’, c’è sempre in politica qualche furbo pronto a stroncare le ali ai giovani che le avevano dispiegate.
Io mi auguro che il PD più che un nuovo partito, diventi un partito con prospettive nuove, che si prefigga di ridurre quel senso di sfiducia generalizzato che si ha verso la politica cercando non solo di riavvicinare la gente alla politica ma anche di responsabilizzarla nell’esercizio del voto. E’ necessario invertire questo processo di abdicazione degli elettori dal ruolo loro proprio, attraverso un’opera di sensibilizzazione, mediante la pedagogia dei gesti, che faccia recuperare la consapevolezza dell’importanza del voto come strumento di controllo e di selezione dei loro rappresentanti.
La gente ha bisogno di risposte e soluzioni ai problemi quotidiani. Tentare di trovarli è a mio avviso l’unico modo per infondere nuova speranza e fiducia nella politica, anche ai politici stessi”.
Redazione Irpinia
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