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Laceno d’oro, è il giorno di Gaglianone

Partirà domattina, nella splendida location della Casina del Principe di corso Umberto I ad Avellino, l’attesissimo workshop sul documentario in compagnia del regista Daniele Gaglianone nell’ambito della 40esima edizione del Laceno d’Oro, il Festival internazionale del Cinema.

«Realizzare un documentario», questo il titolo del workshop, che vedrà il cineasta piemontese impegnato con i giovani allievi selezionati, in un vero e proprio corso sul cinema documentario.

Gli alunni del workshop saranno formati per la realizzazione di un documentario, sotto la guida di uno dei registi più affermati del panorama cinematografico italiano, nonché docente presso l’Università di Torino e l’AIACE.

Gli orari delle lezioni si divideranno in due momenti. La mattina dalle 10 alle 13 e il pomeriggio dalle 15 alle 18.

Alle 17:30, invece, presso il Cinema panopticon del Carcere borbonico si terrà l’incontro con Massimo Causo curatore della manifestazione “Onde”, sezione sperimentale del Festival del Cinema di Torino.

A seguire (18:30), il complesso monumentale dell’ex Carcere di via Dalmazia sarà teatro della sezione “Post cinema e Digital video” del Laceno d’Oro 2015 con la presentazione di “Video e Installazioni – Rarovideo Interferenze” di Antonello Matarazzo.

L’artista avellinese utilizza immagini in movimento realizzando cortometraggi e mediometraggi sperimentali, istallazioni e documentari particolarmente creativi. In questa antologia sono raccolti per la prima volta insieme i lavori realizzati nell’arco di un decennio: da “La camera chiara”, fino a istallazioni come “Doppio Karma”.

Il programma del Laceno d’Oro si sposterà poi a Mirabella Eclano per due proiezioni che si terranno all’Arena Aeclanum/Cinema Carmen.

Si parte alle 19:00 con la sezione “Sguardi animati” con “Ponyo sulla scogliera” di Hayao Miyazaki, film d’animazione in concorso alla 65esima mostra di Venezia nel 2008.

Il secondo appuntamento con il cinema d’autore, invece, è quello delle 21:00 con l’ultimo film di Ken Loach presentato al Festival di Cannes nel 2014: Jimmy’s Halla – una storia d’amore e libertà.

Sarà ancora il regista giapponese Hayao Miyazaki il protagonista alle 20:30 presso il castello di San Barbato a Manocalzati, dove verrà proiettato il film di animazione “Si alza il vento”, presentato alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, candidato all’Oscar come miglior film d’animazione, ai Golden Globe per il miglior film straniero e al premio della Japanese Academy nella categoria animazione dell’anno 2013.

La nona giornata del Laceno d’Oro 2015 si concluderà come di consueto al Movieplex di Mercogliano dove, alle 20:15, ci sarà la proiezione del film “Perfidia” di Bonifacio Angius, in concorso per il Premio Pardo d’Oro alla 67ª edizione del Festival del Cinema di Locarno e inserito nella sezione “Nuove Visioni”. A seguire, incontro con il regista.

SCHEDA FILM: PONYO SULLA SCOGLIERA

Oltre le visioni animiste di Princess Mononoke, quelle fiabesche de La città incantata e i conflitti fra tempo e popoli in guerra de Il castello errante di Howl, c’è la sintesi e la serenità di Ponyo sulla scogliera , film nel quale Miyazaki sembra volersi rimettere in discussione, chiudendo un cerchio per aprirne contestualmente un altro. Effettivamente pochi registi oggi sembrano superare e al contempo dare un senso alla consunta definizione di “autore” come fa Miyazaki, reinventandosi per puntualizzare, innovandosi per espandere il proprio universo visivo, immaginifico e tematico, ponendosi in discussione per riaffermare se stesso. Ogni film di Miyazaki è per questo una tessera di un mosaico, mai uguale a se stessa eppure immediatamente riconoscibile nella sua identità.
La ricerca quindi di un punto di contatto fra i vari universi in continua evoluzione, che si toccano e si distanziano, porta stavolta il mago giapponese dell’animazione a raccontarci la storia della piccola Ponyo, un pesce dal volto umano che stringe amicizia con Sosuke, un bambino che vive su uno scoglio affacciato su Inland Sea. Ponyo proviene dalle profondità di un mare inquinato dall’industria ma che ancora non ha abbandonato la magia di un tempo antico, dove lo stregone Fujimoto cova il desiderio di rivitalizzare il mondo liberandolo dalla piaga di quell’umanità della quale anch’egli un tempo faceva parte ma che ha abbandonato per abbracciare la vita negli abissi. Ponyo però è diversa dal padre, dopo aver ingerito il sangue di una ferita di Sosuke acquisisce forma umana e vuole riunirsi all’amico terrestre. Un’unione osteggiata da Fujimoto, ma che sembra trovare l’avallo della Grand Mamarre, la madre della piccola Ponyo.
I temi cari all’autore quindi ci sono tutti, ma la loro affermazione non è propedeutica a una voglia di ripetere il già detto, quanto a definire le coordinate di un mondo all’interno del quale muoversi per cercare un punto di contatto fra realtà differenti e nel quale ridiscutere il ruolo della magia e della fantasia. Il viaggio di Ponyo e Sosuke l’una verso l’altro diventa quindi un avvicinamento progressivo fra una realtà che deve ritrovare la magia e una fantasia che deve essere capace di immergersi nel mondo, in un abbraccio reciproco che ha la stessa delicata intensità della fiaba per bambini che riesce a parlare anche agli adulti.

SCHEDA FILM: JIMMY’S HALL – UNA STORIA D’AMORE E LIBERTA

C’è una scena che racconta bene cosa sarebbe potuto essere Jimmy’s Hall. È il momento in cui i poliziotti vanno a prendere a casa Jimmy Gralton per eseguire l’ordine di espatrio. Senza scomporsi troppo, la madre offre un tè agli agenti, che incominciano a ricordare i vecchi tempi, quando la signora Gralton andava in giro a vendere libri con la sua libreria ambulante. Improvvisamente scatta l’allarme. Jimmy sta fuggendo ed ecco che la signora, sempre senza scomporsi, chiude a chiave la porta per impedire ai poliziotti di uscire, costringendoli a una precipitosa e goffa sortita dalla finestra. Ecco l’irriducibile e sovversiva ironia popolare, l’irriverenza antagonista, lo sberleffo contro i tutori dell’ordine costituito, i moralizzatori, i padroni. È sempre stata questa la vena più fertile del cinema di Ken Loach, a dispetto poi dei premi e degli onori, degli stessi motivi per cui i suoi film sono presi a modello o bistrattati. Ed è una vena che svela come il cuore profondo del vecchio Ken sia anarchico, prima ancora che comunista. Fatto sta che si ritorna in Irlanda, nei luoghi de Il vento che accarezza l’erba. Jimmy’s Hall ricostruisce, liberamente, la vicenda del comunista irlandese Jimmy Gralton, che tra gli anni ’20 e ’30 mise in subbuglio la contea di Leitrim, con la semplice idea di una sala da ballo, un luogo di svago per la comunità, ma anche un’opportunità di emancipazione ed arricchimento. Con i vari corsi organizzati volontariamente e aperti a tutti, dalla letteratura irlandese al disegno fino ad arrivare alla boxe, la Pearse-Connolly Hall costituiva una pericolosa alternativa alla rigida educazione tradizionale affidata alla chiesa cattolica. E per di più, per le idee progressiste dei suoi animatori, era malvista dai nazionalisti di destra. Da qui i problemi di Gralton, costretto ad espatriare a più riprese, soprattutto per l’opposizione cieca del parroco, padre Sheridan. Loach è davvero affascinato dalle implicazioni umane e politiche della storia, dal luogo con tutti il suo carico di simboli e suggestioni. C’entra la sua passione per il jazz, la politica, la libertà, la resistenza e poi i tempi andati.

SCHEDA FILM: SI ALZA IL VENTO

Il volo per Miyazaki non è una semplice questione di vertigini: le sue figure sono come sospinte dal vento e quando si librano nel cielo danno l’impressione di essere ben piantate nel nulla, solide, ferme. Poi c’è il momento in cui cadono, perché la meccanica arriva a esigere il suo tributo di realtà. L’undicesimo lungometraggio del Maestro nipponico è questo: il racconto di un conflitto tra il sogno di un progettista di aerei (Jiro Horikoshi, realmente esistito) e la realtà che strappa quelle aspirazioni alla fantasia per ricondurle al più immediato bisogno bellico. Che poi è la metafora su cui si regge tutto il cinema di questo straordinario cantore dell’animazione, quella del conflitto tra la dimensione ideale e la concretezza del vero, dove il secondo è trasfigurato dalla poesia dei disegni, ma ha il suo peso nell’economia della narrazione. Sarà anche per questo che la figura di Horikoshi ha parecchi tratti in comune con quella dello stesso Miyazaki (persino il modo di vestire è lo stesso), e che la storia del suo percorso professionale e umano è una sorta di enorme immersione in una dimensione mentale, che però si presenta con i crismi del racconto storico-biografico fra i più rigorosi dell’autore. Sebbene slanci lirici aprano nella vicenda alcune parentesi immaginarie in cui Jiro si intrattiene con l’ingegnere italiano Giovanni Caproni, l’intero racconto diventa l’elaborazione di un processo creativo in perenne divenire. E’ dunque chiaro come questa storia di successo sia anche il racconto di un più generale fallimento, esattamente come accade alla storia d’amore tra Jiro e la fragile Naoko malata di poliomelite, e il film stesso è sospeso, ben piantato nel sogno a occhi aperti, mentre il destino incombe sotto forma di un nuovo conflitto.

SCHEDA FILM: PERFIDIA

Dal realismo magico di SaGràscia a una Sardegna invernale, cupissima, dominata da toni grigi. Al secondo lungometraggio, il trentaduenne Bonifacio Angius posa il suo sguardo su Peppino e Angelo, padre e figlio, rimasti soli alla morte della madre “vecchia già a quarant’anni”, per questo ammalata. “Perché la vita é un imbroglio e per sopravvivere devi stare in questo imbroglio”. E invece Angelo, trentacinque anni, lento e taciturno, sembra vivere lontano da tutto, senza un lavoro, una donna, un progetto, eccetto un vago sogno romano da invidiare all’amico fortunato del baretto che frequenta ogni giorno. Mentre suo padre cerca di capirlo e sistemarlo, all’italiana, con raccomandazioni di amici di amici, inerpicandosi per sentieri impervi che si trasformano in vie crucis disperate, sigillate dalla sequenza al ristorante, col suo sistema di caste, che chiude simbolicamente la prima parte dell’opera, la più bella per coesione e limpidezza. Ci sono le case in eterna penombra, coi centrini ricamati e le radio perennemente sintonizzate sulle stazioni cristiane. Ci sono i videopoker e le slot machine, i cantieri e gli uffici che non si sa bene a cosa siano preposti. Angelo e Peppino si muovono in questa terra desolata, conducente e passeggero presto destinati a scambiarsi i ruoli. Ma che succede quando tocca al nuovo farsi carico del vecchio? Che succede quando non hai spalle abbastanza forti per sostenere un peso? È questo tragico e amorevole conflitto padre-figlio a dominare Perfidia. Una lotta tra due universi lontani che si traduce in un radiografia dell’Italia e del suo cinema, presi in mezzo tra eredità colpevoli e incapacità di reagire. Un’immagine tanto reale da diventare a tratti insostenibile e che Angius porta avanti con grande coraggio, opera lontana dagli scandali, che non sembra mai procedere per tesi per porsi invece allo stesso piano, profondamente umano, dei suoi protagonisti. Un cinema quindi assolutamente vitale, a dispetto dell’aura mortifera che racconta. Capace di viaggiare nella tradizione (quanto ricordano Angelo e Peppino un’altra coppia padre/figlio, quella del monicelliano Borghese piccolo piccolo?) e nel cinema contemporaneo, fra pedinamenti dardenniani e uno sguardo internazionale che si rivela, paradossalmente, quello più diretto e tagliente possibile.

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