La storia ai tempi dei social: il campo di confino di rione Martiri ad Ariano e quel gruppo nato per ricordare

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Renato Spiniello & Maria Giovanna La Porta – Una buona dose di curiosità, un pizzico di amore per il territorio, i ricordi dell’infanzia che riaffiorano e la parte buona dell’informazione che naviga sui social. Nasce così, dall‘idea di un giovane arianese, Floriano Cappelluzzo, un gruppo per realizzare una lapide commemorativa (una targa, un monumento) lì dove un tempo sorgeva il campo di concentramento per internati civili di rione Martiri ad Ariano Irpino.

A stimolare l’iniziativa, il nostro articolo sui campi di confino in Irpinia, tra cui proprio quello che sorgeva sul Tricolle. “Ero sul divano, ho aperto il link e ho iniziato a leggere: ai Martiri c’era un campo di concentramento? E chi lo sapeva. Quando ero bambino con gli amici giocavamo a pallone e non sapevamo nulla” racconta Floriano. La curiosità genera conoscenza e lui ha creato un gruppo su Facebook attirando l’attenzione dei concittadini: giovani e meno giovani, quelli che ricordano che cosa c’era e quelli che non conoscono ancora la verità. Ha stimolato l’interesse di chi “ho sentito parlare di un gruppo che vuole capire cosa è successo ai Martiri durante la guerra, di cosa si tratta?”. E così col passa parola, la città inizia, lentamente, a conoscere quel luogo che reclama memoria.

Linfa vitale di questa idea è la curiosità e la consapevolezza di far parte di una comunità. Queste caratteristiche stanno portando Floriano e la sua “squadra” a realizzare qualcosa di importante. Indispensabile il contributo di Lello Guardabascio dell’associazione “Amici del Museo e Pasquale Ciccone” che ha messo a disposizione tutti i lavori, le pubblicazioni realizzate sul tema – come il libro di Aldo Renzulli, l’articolo di Luigi Albanese sulla rivista Vicum – e la storia di “Melina” raccontata nel libro di Carmela Di Gruttola: un racconto commovente e intimo della vita di questa bambina “speciale” e del suo rapporto umano con gli internati.

La storia. Della struttura, composta da una decina di baracche-dormitorio realizzate subito dopo il disastroso terremoto che colpì l’Irpinia la notte tra il 22 e il 23 luglio 1933 provocando vittime e macerie, e per l’occasione circondate da filo spinato, restano pochissime foto, anche perché fu data alle fiamme dai tedeschi in ritirata dopo l’8 settembre 1943.

Il campo entrò in funzione nel settembre del ’40, dopo che il 7 giugno il Ministero dell’Interno inviò al Prefetto di Avellino Nicola Trifuoggi una circolare con cui disponeva di destinare a campo di internamento “per confinati e internati” le casette antisismiche di proprietà del Comune del Tricolle e il villino della famiglia Mazza ubicati in località “Martiri Vecchio”.

Erano dieci le baracche destinate all’occupazione degli internati, erano in muratura e ognuna poteva alloggiare una ventina di persone. I personaggi di spicco furono invece sistemati nel villino accanto. In tutto sono state confinate circa 400 persone, la metà delle quali slavi delle province di Gorizia, Fiume e Lubiana. Questi erano così numerosi perché ritenuti ostili all’Italia e la loro presenza fu consistente, specialmente dopo l’occupazione della Jugoslavia avvenuta nell’aprile del 1941.

Essere reclusi in uno degli oltre cento campi di concentramento del Mezzogiorno era quasi una fortuna per gli internati, visto che quelli imprigionati al Nord venivano trasferiti nei lager nazisti per il perdurare della presenza tedesca fino al 1945.