La Saponatrice di Correggio, la serial killer irpina raccontata anche da Ligabue

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Renato Spiniello – “Tagliai qui, qui e qui: in meno di 20 minuti tutto era finito, compresa la pulizia. Potrei anche dimostrarlo ora”. Parole che mettono i brividi e che richiamano al cinema horror, ma che in realtà sono tutt’altro che frutto di fantasiose sceneggiature.

A pronunciarle, infatti, è stata in un aula di tribunale nel 1946 la “Saponificatrice di Correggio”, al secolo Leonarda Cianciulli, originaria di Montella in provincia di Avellino, e lì residente fino all’età di 37 anni, quando, nel 1930, il disastroso terremoto rase al suolo la sua casa costringendola insieme al marito e ai quattro figli ad emigrare a Correggio, un paesotto in provincia di Reggio Emilia.

La “Saponatrice” deve tale nomignolo al fatto che, almeno in un caso, ha smembrato i cadaveri delle sue vittime per bollirli con soda caustica al fine, non conseguito, di ricavarne sapone ed è considerata la prima serial killer italiana del Novecento.

Le armi della Saponatrice

La sua storia ha ispirato opere teatrali, cinematografiche e perfino la letteratura. In particolare un libro di Augusto Balloni, Roberta Bisi e Cecilia Monti, un team di criminologi dell’Università di Bologna, ne ha ricostruito dettagliatamente i delitti: movente, dinamica e profilo psichiatrico. Ma anche il conosciutissimo cantante italiano Luciano Ligabue ne ha raccontato le gesta, nel suo primo volume “Fuori e dentro il borgo”, da cui è stato tratto anche il film “Radiofreccia”.

Secondo le ricostruzioni, la Cianciulli era una leader nata e una donna accattivante che col suo fascino puntava a esercitare un controllo assoluto su chi la circondava, ridotto a mero oggetto da sfruttare. Le uniche soddisfazioni le derivavano dalle sue manie di grandezza e dalla deferenza che le riservavano gli altri.

Dietro questa maschera, tuttavia, l’omicida seriale attirava, tramite stratagemmi, nella sua casa piccola e ordinata alcune conoscenti che finirono i loro giorni stramazzate sul pavimento a colpi d’accetta. Si sbarazzò poi dei cadaveri, forse con l’aiuto di Giuseppe, il figlio prediletto, squartando i corpi che sistemò in un pentolone insieme a vecchie candele e un mucchio di soda caustica, mandando il tutto in ebollizione.

La donna fu arrestata nel 1940, per poi salire sul banco degli imputati sei anni dopo. Fu dichiarata dalla sezione istruttoria della Corte di appello di Bologna seminferma di mente e colpevole di triplice omicidio. Scontò i suoi ultimi anni nel manicomio criminale di Aversa, dove morì nel 1970 all’età di 78 anni.

Quello che si chiedono ancora oggi i criminologi è tuttavia il movente che scatenò la furia omicida della “Saponatrice”. Il suo delirio criminale – spiega Augusto Balloni – scattò poco prima della guerra, quando i suoi due figli maschi più grandi, tra cui il prediletto Giuseppe, furono dichiarati idonei alla leva. Il terrore di vederseli strappar via, per rischiare la vita sul fronte, causò il black-out mentale.