La Procura vuole il processo all’omicida del commerciante cinese per aggressione alla Mensa dei Poveri

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AVELLINO- Il ventiseienne nigeriano Omo Robert, già noto alle cronache per il delitto di un commerciante cinese ucciso a martellate nel suo negozio ad Alvanella, oltre al ferimento e alle lesioni gravissime ad un cliente bulgaro, rischia un nuovo processo. La Procura di Avellino ha infatti firmato un decreto di citazione diretta a giudizio (quello firmato dal pm Luigi Iglio) nei suoi confronti, per una vicenda antecedente all’omicidio, accusandolo di violenza privata e lesioni. Come e’ noto Omo Robert e’ stato dichiarato non capace di partecipare al processo. Sul  ventiseienne, difeso dall’avvocato Nicola D’Archi,  decidera’ il prossimo 19 febbraio il giudice monocratico Fabrizio Ciccone, davanti al quale sarà celebrata l’udienza predibattimentale.

LA VICENDA

La vicenda da cui è nato il procedimento è  avvenuta il 30 luglio del 2022, quando il ventiseienne nigeriano aveva colpito con un pugno alla testa un dipendente della Mensa dei Poveri. La prima accusa nei suoi confronti e’ quella di violenza privata.  Perché, proprio da ospite della Casa di accoglienza “Monsignor Antonio Forte” di Avellino di via Morelli e Silvati. Due pugni all’altezza della tempia ad un dipendente  dipendente della “-fondazione Opus Solidarietatis Pax Onlus”‘ da cui dipende la casa di accoglienza. In questo modo, nonostante la determinazione a sollecitare lo stesso a lasciare la struttura, Omo Robert continuva a stare nel Centro. All’accusa di violenza privata si aggiunge quella di lesioni ai danni del dipendente stesso, giudicata guaribile in tre giorni.

LA SENTENZA DI LUGLIO

– Il 10 luglio scorso i giudici della Corte di Assise avevano deciso che il ventiseienne dovesse passare direttamente dal carcere alla Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza o per chiarire l’ex ospedale psichiatrico giudiziario) nel processo ad Omo Robert, imputato dell’omicidio di un commerciante cinese a Monteforte Irpino nel luglio 2022, assolto  per vizio totale di mente, riconoscendone l’assoluta incapacità di intendere e volere al momento della commissione del fatto, dichiarando conseguentemente al sopravvenuta inefficacia della misura cautelare in vigore ed applicando in via definitiva al misura di sicurezza del ricovero in una REMS per la durata minima di dieci anni. L’ordinanza firmata dal Presidente della Corte di Assise Gianpiero Scarlato e dal giudice Pierpaolo Calabrese  sulla base di una serie di dati. A partire da quello: “della intervenuta commissione da parte dell’imputato dei reati a lui ascritti, d’altronde pianamente desumibile dal complesso degli atti investigativi alla cui acquisizione le  parti hanno prestato il consenso”. Alla luce della “pericolosità sociale dell’imputato quale desumibile, oltre che dall’efferatezza dei delitti commessi, dalla stessa condotta tenuta in regime di restrizione dal prevenuto quale evidenziata dall’amministrazione carceraria e tale da imporne, da ultimo, il trasferimento in altro istituto di pena più adeguato al contenimento della personalità dell’Omo”.  Tra l’altro “la pericolosità è stata, inoltre, confermata dal perito all’uopo nominato nel corso del giudizio; considerato che la dott.ssa Fotino, nel sottolineare l’esigenza di un trattamento ad elevata intensità al cospetto di una presenza dipsicopatologia nonostante l’attuale sottoposizione a trattamento, dell’assenza di consapevolezza di malattia, del’assenza di un sostanziale processo di responsabilizzazione e autonomizzazione, di un funzionamento psichico anormale e depauperato per causa di malattia, dell’accessibilità e disponibilità ad interagire sul piano formale, ma con elementi ostruzionistici se non francamente passivo-aggressivi, ha indicato nel ricovero in REMS, almeno allo stato, l’unico strumento concretamente idoneo ad arginare la pericolosità sociale”.