La Campania piace sempre di più, ma l’Irpinia resta fuori dai circuiti turistici

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Marco Grasso – “L’Irpinia ha grandi potenzialità, ma putroppo è ancora ai margini dei principali flussi turistici regionali. Paghiamo limiti infrastrutturali e disservizi, ma anche i pochi investimenti fatti in formazione”. Emilia Bonaventura è la presidente di Heraion, società di guide turistiche con sede ad Avellino.

Nata nel 2001, l’organizzazione opera essenzialmente in Campania, con qualche puntatina anche oltre i confini regionali. “Il nostro gruppo è attualmente composto da uno zoccolo duro di cinque guide. Poi ci avvaliamo, di volta in volta ed a sconda delle esigenze, di un gruppo Facebook per contatti e scambi di competenze sul territorio nazionale”.

Emilia lavora in prima linea nel turismo da quasi vent’anni, in stretta sinergia con agenzie di viaggio e tour operator. Ma anche scuole, associazioni ed enti pubblici. Ha una conoscenza approfondita dei principali circuiti turistici regionali.  “Lavoriamo prevalentemente sul Napoletano e il Casertano, dove c’è un’attenzione maggiore. Basti pensare alla Reggia di Caserta o Pompei, che restono tra i siti di maggiore interesse”.

In Irpinia è davvero così complicato lavorare nel turismo?

Nella nostra provincia si lavora spesso ancora a livello pioneristico. Il turismo irpino vive soprattutto di enologia, e quindi bisogna avere delle competenze specifiche, non sempre riscontrabili in guide specializzate soprattutto in archeologia. Stesso discorso per il filone naturalistico, e il treeking in particolare, per il quale sono altrettanto importanti formazione, conoscenza e competenze. Possiamo parlare di un turismo di nicchia che, sia chiaro, è in buona parte ancora da scoprire e valorizzare.

Cosa manca alla nostra provincia per il salto di qualità?

C’è bisogno di mettere in rete conoscenze e competenze. Gli operatori, gli attori presenti sul territorio devono imparare a cooperare. Noi, come guide turistiche, siamo solo un anello di questo circuito, anche se spesso siamo i primi interlocutori di agenzie e tour operator, e diventiamo così decisori. Dopo tanti anni di attività siamo in grado di incidere su molti percorsi turistici, ma questo, se da un lato può farci piacere, è anche la conferma che in Irpinia non c’è ancora un sistema turistico.

Quali sono le ragioni secondo lei?

C’è ancora un profondo scollamento tra chi opera nel pubblico, e dovrebbe ragionare di macro-marketing e fare programmazione, il terzo settore e il professionista di settore. Da parte nostra c’è sempre disponibilità a collaborare: in alcune realtà riusciamo a portare avanti e realizzare progetti significativi, ma servirebbero strategie precise. Un tour, un’attività turistica non può dipendere dall’intraprendenza dei singoli, o dai contatti che posso avere io o un altro operatore. Così non può funzionare, non ci può essere spazio per l’improvvisazione. C’è bisogno di un circuito ben organizzato e, purtroppo, l’Irpinia è ancora in ritardo.

Possibile che in tanti anni in cui si discute, più o meno animatamente, di turismo non si siano fatti passi in avanti?

Qualcosa è stato fatto, sarebbe ingiusto e sbagliato dire che siamo ancora all’anno zero. Oggi c’è più dialogo, più condivisione, anche se la strada è ancora lunga. Gli operatori sono più ricettivi, hanno imparato a collaborare e condividere idee e progetti, anche se poi ci si scontra con limiti e ostacoli assurdi, come i musei che, nonostante tutto, continuano a restare chiusi nel fine settimana. E’ chiaro che se i nostri attrattori sono inaccessibili tutto diventa più complicato. Non siamo ancora sistema, sul turismo ci affidiamo alla buona volontà e alle competenze dei singoli. Non è accettabile che un operatore incompetente o poco attento possa danneggiare un’intera provincia. Oggi, proprio perchè il turismo non è ancora organizzato e ben gestito, c’è anche questo rischio. E’ questo il nostro più grande handicap.

Come si può colmare il gap?

Sull’Irpinia c’è una discreta attenzione, ma bisogna organizzarsi, strutturarsi. Dalle nostre parti, in genere, viene un turista maturo e consapevole che vuole approndire le proprie conoscenze sul vino, ma anche capire il contesto socio-economico locale. Chi viene in Irpinia, conosce bene la Campania, è preparato. I prodotti della nostra enogastronomia sono il vero valore aggiunto, spesso ancora da promuovere e valorizzare al meglio. Ma sia chiaro, non è sufficiente un buon bicchiere di vino: chi viene in Irpinia vuole visitare le cantine, capire i processi produttivi e quindi acquistare. Anche per questo i prodotti del territorio devono essere alla portata di tutti, non è accettabile che un turista debba farsi raccomandare per trovare un punto di vendita aperto.

Siamo così indietro rispetto al resto della Campania?

Le criticità sono tante, inutile nasconderselo. Ce ne rendiamo conto soprattutto andando in giro, confrontandoci con altre realtà dove si fa turismo da sempre. Il gap è prima di tutto infrastrutturale: ci sono luoghi che sono di fatto inaccessibili a pullman e mezzi più grandi e, non di rado, alle persone anziane o ai diversamente abili. Non è un limite da poco, se si pensa che il turismo della terza età è il più diffuso. E’ il caso ad esempio di alcuni nostri bellissimi borghi o degli alberghi diffusi. Servirebbe anche più ricettività: gli alberghi in grado di ospitare più di 50 turisti sono pochi, e questo è sicuramente un limite.

I giovani possono contribuire a colmare un gap che spesso è anche di formazione e professionalità?

E’ vero, mancora ancora alcune professionalità. Non sempre le risorse umane impegnate sul campo sono all’altezza della situazione. Anche sulla ricettività e sulla capacità di accoglienza siamo in ritardo, sia in riferimento agli alberghi che alle cantine. Molti operatori non parlano una seconda lingua, e questo è un limite non da poco. L’accoglienza è un aspetto fondamentale, bisogna essere pronti ed in grado di gestire al meglio ogni esigenza. Non è più possibile affidarsi all’improvvisazione. Bisogna essere perfetti se vogliamo davvero far crescere il nostro territorio.

Della nostra provincia si continua a parlare poco, almeno in certi circuiti. C’è anche un problema di comunicazione?

Siamo sicuramente in ritardo sul fronte della comunicazione e della promozione, ma questo è un limite prima di tutto culturale. Purtroppo siamo spesso noi stessi a non credere nella nostra terra, a non invogliare chi vuole venire a visitare l’Irpinia. Questo è un elemento che può fare a differenza, più di un bello spot o di una campana social. Ma anche in questo caso serve condivisione e unicità di intenti. La Confcommercio dovrebbe dare presto vita ad una sezione specifica dedicata al turismo, dove convogliare tutte le associazioni di settore, anche quella delle guide tuistiche che si costituirà a breve. E’ un segnale importante, si potrebbe dare vita ad un modello di gestione inclusivo e partecipato che non può che fare bene all’Irpinia.

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