Irpinianews.it

Intervista a Pietro Foglia: la Famiglia, il Lavoro, la Politica.

Pietro Foglia

Pietro Foglia

 Pietro Foglia, il presidente uscente del consiglio regionale si confessa, dall’amicizia “tradita” di De Mita, al rapporto con le figlie e il cuore diviso tra Napoli e l’Irpinia

Asserragliato da amici, collaboratori ed elettori e da un cellulare che squilla in continuazione nella segreteria politica di piazza Libertà ad Avellino, Pietro Foglia si racconta e racconta la sua infanzia, da dove nasce la sua passione politica, il suo rapporto con le figlie, Antonia e Amalia, passando per le passioni culinarie e i viaggi fatti e da fare.

Presidente Foglia, partiamo da lontano, nel 1978 lei ha partecipato al gruppo di progettazione, negli USA, del primo Boeing 767, poi l’approdo alla politica. Un volo non da poco, ritiene soddisfacente l’atterraggio?

“E’ stata una scelta di vita, più che altro legata agli affetti familiari. Per valorizzare una scelta professionale avrei dovuto scegliere di rimanere negli States, però nel ’76, due anni prima avevo perso mio padre e mia madre era rimasta sola, quindi decisi di tornare a casa da lei. Poi, purtroppo, lei morì un anno dopo. Con il senno di poi dico che magari avrei potuto continuare l’esperienza professionale”.

Come nasce la sua passione per la politica?

“Ho iniziato ad interessarmi alla politica prima di partire per gli Usa. Frequentavo l’università di ingegneria allora a Via Mezzocannone a Napoli. Erano i primi anni ’70. Un periodo difficile, turbolento. Erano gli anni delle occupazioni, delle contrapposizioni tra il mondo studentesco di sinistra ed il mondo cattolico. Io ho avuto una formazione cattolica ed un’istruzione gesuita. Iniziai la mia esperienza prima nel movimento giovanile della Dc, poi nell’azione Cattolica. Noi rivendicavamo un modo diverso di vedere le cose, in contrapposizione con l’ideologia comunista. Dopo la fase dell’università a Napoli e la partenza per l’America abbandonai per un lungo periodo l’azione politica”.

Lei è irpino di nascita, ma ha vissuto a lungo a Napoli. Come è stato il rapporto con l’Irpinia e come si è poi consolidato?

“Vivevo a Napoli con la famiglia, a Baiano in pratica venivamo in villeggiatura per un mese all’anno, d’estate prevalentemente, ma un ramo della famiglia aveva un legame saldo con Baiano. Come dire, la mia famiglia ha “fornito” i sindaci a Baiano i miei zii sono stati amministratori del comune di Baiano per lungo tempo”.

Che ruolo ha avuto suo padre nell’impegno politico?

“Direi marginale. Non era interessato alla politica. La passione per la politica mi fu trasferita dagli zii”.

E la politica, nel rapporto con le sue figlie quanto incide?

“Nulla. Non c’è un ordine perentorio, ma quasi un accordo tacito affinché la politica non entri in famiglia. E’ evidente che il confronto finisce per essere presente nelle discussioni”.

Come sono schierate le sue figlie?

“La prima, Antonia di 27 anni, credo abbia una idea politica in assonanza con la mia. La seconda, Amalia di 22 anni, la sento più distante, più su posizioni di sinistra, percepisco la sua sensibilità per i temi della difesa dei diritti, della solidarietà. Ad entrambi, me e lei, non piace Renzi, per esempio, ma le valutazioni e le analisi sono diverse”.

Quando inizia a sentirsi un Irpino a tutti gli effetti?

“Di ritorno dagli Usa, dopo gli studi si rinsalda il legame con Avellino, con il capoluogo, perché risultai vincitore di un concorso per la Cassa del Mezzogiorno, inizialmente fui destinato a Roma, poi fui mandato a reggere l’ufficio di Avellino. Erano gli anni del post terremoto”.

Come è cambiata l’Irpinia, Avellino?

“E’ cambiato il senso di comunità dei cittadini di Avellino. Avverto meno predisposizione alla solidarietà, al dialogo. C’è meno affiatamento tra le persone. Percepisco una città capoluogo anonima e ritengo che alcune zone della provincia siano migliori”.

Il suo nome, per chi ha più di 30 anni, è accostato inevitabilmente a Ciriaco De Mita. Quanto è stato doloroso affrancarsi? Quali sono state le soddisfazioni? E soprattutto lei si sente affrancato da Ciriaco De Mita?

“Prima di tutto uno deve affrancarsi o si sente affrancato da qualcuno se prima è stato suddito di qualcuno. Io non sono mai stato suddito di Ciriaco De Mita. C’ è stata da parte mia una sincera amicizia, se qualcuno l’ha considerata sudditanza allora vuol dire che non era amicizia. Il fatto che non sono mai stato suddito lo testimoniano la designazione a presidente dell’Asi, avversata da De Mita e le quotidiane richieste di dimissione dal mio incarico all’Asi, nel 2001, che De Mita avanzava ogni giorno, più volte al giorno. Richieste mai esaudite e che non hanno prodotto effetti”.

Presidente, in politica vige la regola del “Mai dire mai”. Ma per lei esiste un “Mai” inderogabile, imprescindibile?

“Mai venir meno ai principi che hanno costituito la mia educazione e la mia formazione. Possono verificarsi incidenti di percorso che possono rivelarsi spiacevoli, ma non sono episodi che fanno parte del mio corredo di comportamento e la prova l’ho data quando ho ricoperto ruoli importanti nella fase post terremoto, testimoniando la mia azione con fermezza e sani valori”.

Veniamo proprio alla sua esperienza post terremoto quale responsabile dell’Ufficio di Avellino della Cassa per il Mezzogiorno e curatore degli interventi connessi al reinsediamento delle popolazioni terremotate, fornendo ai comuni della provincia di Avellino assistenza per gli interventi di ricostruzione pubblica e privata. Dopo 30 anni come valuta quell’esperienza?

“Credo che la fase successiva abbia rappresentato uno delle più grandi occasioni mancate. Non aver assecondato il processo avviato di insediamento industriale è stato il più grande spreco post terremoto. Quel processo andava accompagnato e completato. Non era immaginabile completare la trasformazione di un tessuto prevalentemente agricolo come quello irpino in uno a vocazione industriale in soli 8 anni. E’ stata la cattiva politica a far arrestare quella dinamica. Ognuno ha immaginato di farsi la propria area industriale, un nucleo a proprio uso e consumo. Occorreva individuare le risorse per a gestione delle aree industriali, non quelle per la realizzazione che già c’erano”.

Lei fa riferimento alla “cattiva politica”. Si riferisce a quella che l’ha fatta allontanare, nei primi anni ’90?

“Si. A partire dal 1991/92 mi sono disinteressato alla politica. Mi sono allontanato. Anche per questioni familiari, Sono diventato papà nel 1988 e di nuovo nel 1992 ed in quegli anni mia moglie era a Venezia ed io facevo il pendolare”.

Però poi è ritornato nell’agone politico. Perché?

“Perché credo che la politica sia una sorta di malattia, provoca dipendenza”.

Il suo excursus: Dc, Partito Popolare, Margherita, poi il salto nel centro destra, con l’Udc prima e ora con il Nuovo Centro Destra. Il prossimo approdo ?

“Ci fermiamo qui (sorride ndr) credo che ad un certo punto è necessario mettersi a riposo”.

E per riposarsi, sceglie mare o montagna?

“Mare certamente, le isole campane, la Costiera Amalfitana. Amo viaggiare, ricordo con piacere il viaggio in Messico di tanti anni fa e sogno di vistare l’Est Asiatico, le grandi civiltà di quell’area, Cina e Giappone”.

E con lo sport, invece, Pietro Foglia che rapporto ha?

“Adesso ho un rapporto da spettatore appassionato di calcio. Divido il mio cuore tra il Napoli e l’Avellino. Ma allo spareggio per la promozione in B ho tifato per i Lupi. Da giovane ho militato nelle giovanili dell’Internapoli. Ci allenavamo allo stadio Collana e vedevamo correre calciatori del calibro di Chinaglia”.

Tra una partita ed un impegno politico si abbandona a qualche peccato di gola?

“Tutti quelli che hanno per ingredienti le tipicità irpine”.

E con la pizza, abituato a quella napoletana, come la mettiamo?

“Mi accontento. Se devo essere onesto il confronto sarebbe impietoso, ma in alcune pizzerie di Avellino il livello è buono”

Cosa pensa dei colleghi più giovani in politica ed al Consiglio regionale?

“Ci sono giovani preparati, ma c’è una grande differenza con la nostra generazione di politici”.

Quale?

“L’Italia ha vissuto una profonda trasformazione a partire dal ’94 con l’avvento di Berlusconi. Il Berlusconismo ha invaso la politica, a destra come a sinistra ed ha modificato l’approccio di chi fa la politica. In pratica si inizia a far politica senza alcuna base di conoscenza. E’ come conseguire il diploma senza aver fatto le scuole. Ci sono giovani politici preparati, che hanno studiato, ma molti non hanno alcuna idea e conoscenza dell’amministrazione, della gestione”.

La politica è diventata un mestiere?

“Adesso si. Credo che se avessi detto a mio padre di voler fare il mestiere di politico mi sarei beccato un ceffone. Oggi molti abbandonano gli studi non per cercare un lavoro ma per entrare in politica. La considerano un lavoro”.

Allora perché non renderla un servizio da prestare gratuitamente?

“Non sono d’accordo. La politica deve avere un costo, poi occorre verificare se è adeguato agli obiettivi raggiunti. Occorrerebbe inserire dei criteri di valutazione della produttività dei politici, degli amministratori, ma so che questo sarebbe un criterio che non piace a molti”.

Tra le ragioni dell’Irpinia e le ragioni di schieramento, quali prevalgono nella sua azione politica?

“L’Irpinia sempre e comunque. Ho votato con l’opposizione in difesa dell’Irpinia. Sulla vertenza dei forestali, per esempio, per cercare di salvare un settore morto, in contrasto con la mia maggioranza che voleva chiudere le comunità montane. Ho presentato un ordine del giorno contro le trivellazioni petrolifere in Irpinia, chiedendo alla giunta di presentare ricorso contro il decreto “Sblocca Italia” che di fatto ha esautorato la Regione da ogni potere decisionale sull’utilizzo del territorio. E’ un’azione insolita per un presidente del consiglio regionale presentare un ordine del giorno ma per l’Irpinia bisognava farlo”.

Exit mobile version