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Indebitato e in assistenza, espulso nostro connazionale dalla Svizzera

Sono tanti gli episodi d’intolleranza a carico d’italiani che si verificano al di là delle Alpi e che lo “Sportello dei Diritti”, ha sempre prontamente segnalato per denunciare il razzismo diffuso che pare sia troppo spesso tollerato da alcune istituzioni elvetiche. Questa volta un italiano 52enne oberato dai debiti, dovrà lasciare definitivamente il Canon Ticino. Il Tribunale federale ha infatti respinto in ultima istanza il ricorso presentato contro la sentenza dell’8 novembre 2017 del Tribunale amministrativo del Cantone Ticino (TRAM).

La Corte cantonale aveva dato ragione alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, che, nel gennaio del 2017, gli aveva revocato il permesso di dimora ottenuto nel 2012, anno in cui era arrivato in Svizzera. A sostegno della propria decisione l’autorità aveva osservato che questi da tempo non lavorava più, che era oberato dai debiti, che aveva interessato le autorità giudiziarie penali svizzere e quelle italiane e che dal luglio 2016, non disponendo più di entrate sufficienti per il proprio mantenimento, era a carico della pubblica assistenza. Tale decisione era stata confermata su ricorso dapprima dal Consiglio di Stato, il 19 settembre 2017, e in seguito dal TRAM.

I giudici di Mon Repos hanno però dato ragione alla Corte cantonale, che aveva rilevato come il ricorrente non potesse più essere considerato un lavoratore e che la perdita del suo impiego non fosse riconducibile a motivi di malattia o infortunio. Il 52enne non aveva neppure dimostrato di essersi prodigato per ricercare un nuovo impiego. La Corte cantonale aveva inoltre constatato che il ricorrente adempiva il motivo di revoca siccome non aveva rispettato la condizione per la quale gli era stato rilasciato il permesso di dimora (cioè l’esercizio di un’attività lucrativa). Inoltre l’uomo  dipendeva da tempo dall’aiuto sociale ed aveva percepito prestazioni assistenziali per 20’989 franchi dal mese di luglio 2016. “Un suo rientro nella vicina Penisola, dove aveva vissuto sino all’età di 47 anni prima di venire in Svizzera e dove possedeva i suoi principali legami culturali e sociali, appariva quindi perfettamente esigibile”, si legge nella sentenza. Infine, riguardo ai problemi di salute fatti valere dall’interessato, sia la Corte cantonale che il TF avevano osservato che l’Italia non è sprovvista di adeguate strutture sanitarie medico-psichiatriche- assistenziali pubbliche e private di ottima qualità. Inoltre, “risiedendo nella fascia di confine, il ricorrente potrà continuare il suo percorso terapeutico in Svizzera”.Per questi motivi i giudici losannesi hanno respinto il ricorso del cittadino italiano, ponendo a suo carico anche le spese giudiziarie di 200 franchi. Una storia che sta assumendo i contorni dell’ordinario in Svizzera, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, dove gli italiani che hanno sempre contribuito al miglioramento delle condizioni di vita di quel Paese con il proprio sudore della fronte, si ritrovano spesso umiliati e costretti a subire il volere delle autorità che si uniformano più che ai diritti umani, al sentire comune che in questo momento assume particolari contorni d’intolleranza.

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