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Incendi in Amazzonia, cosa rischia l’Irpinia?

View of a fire in the Amazon rainforest near Novo Progresso, Para state, Brazil, on August 25, 2019 - Brazil on Sunday deployed two C-130 Hercules aircraft to douse fires devouring parts of the Amazon rainforest, as hundreds of new blazes were ignited and a growing global outcry over the blazes sparks protests and threatens a huge trade deal. (Photo by Joao Laet / AFP)

Il fenomeno della deforestazione dell’Amazzonia, mai come in questi giorni così attuale per il gravissimo incendio in corso, non è una novità. A partire dagli anni Quaranta del secolo scorso è andato perduto un quinto della Foresta amazzonica, soprattutto a causa dell’estrazione commerciale del legno, ma anche per far posto ad allevamenti, coltivazioni e miniere.

La deforestazione dell’Amazzonia è un po’ come aver aperto il vaso di Pandora. Una situazione drammatica, una vicenda da non sottovalutare che ha avuto – e continuerà ad avere – ripercussione sull’ecosistema. Abbiamo chiesto ad un esperto di scienze ambientali, il dottore agronomo e forestale Paolo Pollastrone, quali sono le conseguenze per il Pianeta e cosa dobbiamo aspettarci (intra moenia) nella nostra Irpinia.

Dottore agronomo e forestale Paolo Pollastrone

“In Irpinia abbiamo una tale concentrazione di verde che, facendo una considerazione a breve termine, la flora e la fauna non dovrebbero risentirne. Siamo protetti dal Parco Partenio e da una distesa di boschi” afferma Pollastrone che prosegue “tuttavia il problema è a lungo termine. I repentini cambi climatici sono la testimonianza”.

Ma andiamo per ordine. “La Foresta amazzonica – spiega Pollastrone – per dieci mesi all’anno è umida, ossia, piove quasi tutto l’anno. Gli incendi si concentrano in questo periodo (luglio/ottobre) perché è l’unico periodo di secca. E così dall’uomo vengono appiccati incendi sulla base del principio “taglia e brucia” per liberare terreni da dedicare alla coltivazione e all’allevamento del bestiame. La cenere depositata dopo i roghi, infatti, rende fertile il terreno e favorisce la crescita delle colture. Tuttavia questo trattamento determina una più rapida erosione del terreno rendendolo rapidamente inutilizzabile, oltre che una significativa immissione di gas serra (come l’anidride carbonica CO2)”.

In natura tutto è collegato. Nel cuore della Foresta amazzonica alberga la più ricca e florida biodiversità del Pianeta, che abbraccia un numero enorme di specie vegetali e animali. Da sola, la foresta assorbe più del 20% di CO2 del Pianeta. Cosa vuol dire? “Vuol dire che la Foresta deve essere considerata come una enorme riserva di carbonio temporaneamente escluso dal ciclo del carbonio stesso. La produzione di ossigeno ora è compromessa con conseguenze gravi sugli equilibri in natura: dallo scioglimento dei ghiacciai ai periodi di siccità alternati a forti piogge. Non dobbiamo andare da un’altra parte del pianeta per capire che qualcosa non va, possiamo rendercene conto anche qui. Esempio: le ciliegie. Prima intorno alla metà di maggio erano pronte per la raccolta, negli ultimi tempi bisogna attendere la metà di giugno” chiosa Pollastrone.

Cosa possiamo fare? Secondo Pollastrone “Certamente l’attenzione che l’uomo ha iniziato a dimostrare negli ultimi anni può aiutarci a salvare il Pianeta. Anche a livello locale, ormai l’attenzione all’ambiente è una priorità. Quello che tuttavia manca in queste zone è un adeguato Piano di assestamento forestale”. Si tratta di un
documento tecnico a validità pluriennale (10-20 anni) con il quale vengono definiti gli obiettivi che si vogliono
perseguire nel medio periodo, gli orientamenti di gestione e le operazioni per realizzare tali scopi. Il Piano comporta una divisione funzionale dei boschi che costituisce l’ossatura su cui articolare la programmazione e l’esecuzione degli interventi. “Ecco, su questo tema dovremmo prendere spunto dal vicino Molise, molto ben organizzato”.

A bruciare non è solo l’Amazzonia.  Quest’area (che si estende per ben 7,7 milioni di chilometri quadrati) abbraccia Brasile, Bolivia, Paraguay, Venezuela, Suriname, Guyana e altri Paesi del Sud America e non è la sola a bruciare. Negli ultimi giorni roghi fortissimi si sono propagati in Africa centrale, Angola e Congo. Per comprendere la portata del fenomeno è  possibile consultare le mappe interattive elaborate dalla Nasa. 

 

di Maria Giovanna La Porta

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