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In scena il 1 febbraio lo spettacolo teatrale “Cartoline da casa mia”

Sarà una programmazione Off quella per la Candelora 2024 promossa da Arci Avellino, 99 Posti e Don Vitaliano Della Sala che insieme producono “Cartoline da casa mia”: lo spettacolo di Antonio Mocciola con Bruno Petrosino in scena il 1 febbraio sul palco del Teatro di Torelli di Mercogliano.

“Cartoline da casa mia” sbircia nella stanza in cui si è isolato un ragazzo, Fosco, che ha scelto di non possedere più nulla, se non la voglia di comunicare, attraverso la forma desueta della cartolina, tutta la sua disperata, e dignitosa, solitudine volontaria.

Un disadattato. Così la società liquida un uomo, specie se giovanissimo – e dunque obbligato alla Vita – che decide di isolarsi in una stanza. Per giorni, per mesi, forse per sempre. Il fenomeno, che in Giappone è una vera e propria emergenza, tanto da meritare un nome apposito (Hikikomori), sta arrivando anche in Italia, e coinvolge soprattutto giovani uomini dai 15 al 35 anni.

«Siamo molto orgogliosi come Arci di poter produrre e portare a Mercogliano questo spettacolo, in collaborazione con il teatro 99 posti e con l’importantissimo sostegno di Don Vitaliano della Sala», spiega il Presidente di Arci Stefano Kenji Iannillo. Un’opera che ha avuto un incredibile successo di pubblico e di critica, in replica da cinque anni su tutti i palcoscenici d’Italia: «È un testo che parla alle idiosincrasie del nostro tempo: dalla retorica della vita obbligata dei giovani, allo sdoganamento della solitudine, dalla crisi esistenziale di società atomistiche, al rapporto carsico di un uomo con i suoi affetti.

Con questo spettacolo, così come con le tante iniziative promosse nei nostri circoli Arci sul territorio, intendiamo partecipare al rito collettivo della Candelora scegliendo di approfondire i temi e il portato della sua cultura scandalistica. Quella cultura dello scandalo intesa come atto che sta fuori dall’ordinaria ritualità simbolica delle nostre società, e che può aprire a nuovi sguardi di comprensione e critica rispetto a quello che siamo e al mondo in cui viviamo».

Vedremo Fosco, nudo in una scena nuda, circondato da un quadrato di luce nel buio che ne fissa il perimetro d’azione come un ring (o una gabbia), che ci comunica il suo disagio, il suo esilio volontario, scrivendo cartoline ai suoi ex affetti, da cui ha divorziato.

Fosco ci parla dal nulla, e nel nulla rientrerà. I suoi appelli cadono nel vuoto. Gesti d’amore che non abbiamo capito, o voluto capire, e che resteranno messaggi eternamente imbottigliati: pensieri alla deriva.

Una nudità necessaria quella dell’attore Bruno Petrosino che incarna le parole di Antonio Mocciola, assumendo sul proprio corpo fragilità e bisogni. Vietato ai minori di 18 anni, ha incontrato delle resistenze proprio perché il protagonista appare spogliato dei suoi abiti per l’intera durata del monologo, cinquanta minuti. Ma non erano forse nudi anche i due giovani innamorati che, secondo la leggenda, furono legati al gelo nell’inverno di Montevergine e salvati proprio dalla luce di Mamma Schiavona?

Ebbene nessuno scandalo, come spiega ancora il presidente Iannillo: «La nudità di questo spettacolo rappresenta la nudità delle nostre vite, non può essere nascosta o censurata, come pure alcuni hanno provato a fare. Dal pudico imbarazzo, velato di morale borghese, che si presenta quando ci esponiamo sinceramente, possono emergere vissuti e possibilità di comprensione. In questo caso a restituirci una storia, un’esperienza, è il teatro, ma un teatro che dal personale si apre al collettivo e si rivela capace di arricchirci, attraverso una nuova consapevolezza di noi stessi».

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