Roma – “Un partito personale non può essere il nuovo”: è in questi termini che Ciriaco De Mita ha commentato su un articolo apparso oggi sul Corriere della Sera la presa di posizione di Walter Veltroni rispetto alla questione candidatura. Sul caso dei…partiti personali, collegati al cinismo dei vari leader e alle riflessioni che l’opinione pubblica si farà sulla politica italiana e sul passato e il presente che verrà, sia in Campania che sul territorio nazionale, è probabile che si aprirà anche in Irpinia la giusta riflessione in nome della democrazia e della partecipazione seria e costruttiva .
Da ‘Il Corriere della Sera’
ROMA – Più che amarezza c’è sorpresa, in De Mita, per la decisione di Walter Veltroni di farlo fuori dalle liste. Tra i due c’era una certa consuetudine. Ogni tanto si vedevano, e anche le mogli si conoscevano. Dicono che la rottura dati al discorso del Lingotto, quello in cui Veltroni debuttò come leader. Il segretario del Pd, prima dell’appuntamento, mandò la sua relazione a De Mita per sapere che ne pensasse. L’ex leader scudocrociato, com’è nel suo stile, la lesse e rilesse. Quindi alzò la cornetta del telefono e fece i suoi appunti, i suoi rilievi. Dicono che da allora Veltroni, dopo aver salutato freddamente De Mita, non si fece più sentire. Ora De Mita, che si professa ‘ingenuo’ per certe cose, riconosce quel che un amico “comunista” gli andava dicendo “dell’inaffidabilità e del cinismo di Veltroni” era vero. Ma c’è un episodio, nella vita politica di De Mita, che fa capire bene il carattere del personaggio e che spiega, in parte, anche il perché del suo addio al Pd di Veltroni. È un episodio che lui stesso ama raccontare: “Quando divenni segretario qualcuno ebbe a ridire sulla mia pronuncia e voleva che la correggessi. Io mi ribellai perché sarebbe stata un’alterazione di me stesso”. Ecco, De Mita è fatto così e non capisce “i politici che invece rincorrono l’immagine”: per lui quello è il segno “dell’insostenibile leggerezza del nuovo”. Quel “nuovo veltroniano” a cui l’hanno crocifisso perché ha compiuto ottant’anni. “Per carità di Dio”, anche per De Mita “la gioventù è per un certo senso la stagione migliore della vita”, ma chi è avanti con gli anni “ha la possibilità di accumulare sapienza, esperienza e capacità”, il che vuol dire che “la selezione della classe dirigente può tenere conto anche dell’età ma non può essere questa l’unica regola: è una stupidaggine insopportabile”. Tanto più se si inventano “deroghe personalizzate”: “Se si fosse stabilito che dopo tre legislature chiunque non si poteva candidare, l’avrei ritenuto un errore, ma l’avrei in qualche modo accettato”. Ma questo non lo “offende” e non è per questo che va via dal Pd, piuttosto perché, pur avendo “avvertito qualche difficoltà e disagio” per come andava nascendo il Partito democratico, poiché non ama “sottrarsi alle sfide” si era “impegnato fino in fondo” lo stesso, vincendo “dubbi e perplessità”: da sempre gli piace “misurarsi con le scommesse”, anche se era conscio sin dall’inizio che la nascita del Pd sarebbe stata foriera “di instabilità per la coalizione”.
Ma poi è stato “estromesso” e quindi non vede perché dovrebbe “rimanere nel partito”, per far che, “visto che non vi è confronto di idee e di opinioni”? E poi il nuovo cos’è? L’innovazione delle regole, su cui Veltroni diceva di aver puntato, “ma poi non è andato a fondo su quella strada” e a De Mita è “parso di capire che dentro quel disegno vi fosse in realtà il calcolo meschino che fa gran parte della classe politica italiana”. Un calcolo per far cadere il governo “dicendo il contrario”. E che il Pd alla fine abbia destabilizzato Prodi è sotto gli occhi di tutti: “E quando sento dire — osserva De Mita — che Berlusconi non voleva le elezioni anticipate, rimango basito perché significa pensare che Berlusconi sia uno statista”. E, ancora, il nuovo non è un “sogno”: “L’avevo spiegato a Veltroni che questo ci avrebbe esposto a grandi rischi perché il sogno finisce all’alba, mentre la politica vera, quella che innova, ha sempre un impatto d’attrito, è come il rapporto che si stabilisce tra medico e paziente. Il medico che guarisce è quello che scopre l’infermità e sollecita il paziente alla terapia e la terapia non è una cosa piacevole”. Infine, il nuovo non “è un partito personalizzato”, com’è il Pd, perché, allora, parlando “senza irriverenza”, ma con convinzione, “partito personale per partito personale è meglio quello di Berlusconi. Già, tra uno che dice bugie e un bugiardo quello più bravo è il bugiardo mentre quello che dice bugie si fa scoprire”. E ritorna apposta con la memoria alla prima Repubblica, De Mita, per spiegare le tante cose che non lo hanno convinto di questo Pd che si autodefinisce nuovo. Ricorda Moro, secondo cui il programma politico di un partito “non è un arido elenco di cose da fare”, ma nasce “dalla comprensione dei fenomeni e dalla capacità di ipotizzare le soluzioni possibili”. E il ricordo di un altro politico Dc del passato serve a De Mita per lanciare l’ennesima frecciata a Veltroni: “C’è una sorta di provincialismo in Italia per cui certi politici scoprono il modello americano. Trovo singolare che per la costruzione della democrazia in Italia si faccia riferimento a Kennedy e non a De Gasperi, che è una testimonianza indigena dell’esperienza del nostro Paese. Questa storia mi fa venire in mente certi architetti che ho conosciuto, che essendo andati in vacanza in Alto Adige, tornati nelle loro città di mare, hanno costruito case di montagna”. Ma se De Mita ha rotto con Veltroni non ha rotto con la politica. Gli sarebbe impossibile. “Per il mio compleanno — racconta — Veltroni gentilmente mi ha mandato un biglietto in cui c’era scritto: 80 anni dalla parte della democrazia”. E da quella parte l’ex presidente del Consiglio intende restare. Il che vuol dire che De Mita continuerà: “Quando morirò lo farò tenendo il mio ultimo discorso politico”. Ma per la politica la porta del Pd si è chiusa: “Io sono dalla parte della democrazia, come ha ammesso anche Veltroni. E io ho sperato che il Pd diventasse il partito moderno della democrazia in Italia. Così non è stato”. Ma quale sarà il futuro politico di De Mita? Si parla del suo possibile ingresso nella Rosa bianca: “Ho la sensazione che questo Partito democratico che si associa a Di Pietro e cerca di raccogliere i radicali, apra uno nuovo spazio di domanda politica. E in questo caso concorrerei”.
“Ma — aggiunge l’ex segretario Dc — non sto parlando di un partito intermedio o di un partito piccolo che si allea con gli altri. Io credo che, al di là dei sondaggi, il risultato elettorale fornirà delle sorprese. Se vi fosse un partito che risponde alla domanda di politica possibile, che tenta soluzioni concrete all’ansia di precarietà degli italiani, io ci starei, perché dopo il bipolarismo coatto siamo passati al bipartitismo senz’anima, che non mi piace”. Come non piace a De Mita l’alleanza del Pd con Di Pietro, perché “c’è una convenienza meschina” in questa intesa, è quella di “raccogliere qualche punto in più”. Ma non è questa la politica che immagina De Mita. E, come dice lui, se non sarà possibile aprire ora quello spazio politico che non vuole farsi schiacciare dal bipartitismo imposto da Veltroni e Berlusconi, De Mita lavorerà perché quello spazio ci sia, magari nella prossima legislatura. Perché come uno dei suoi poeti preferito, Machado, avrebbe voluto farsi trovare dalla morte con la chitarra in mano, lui vorrebbe accogliere quel che il futuro gli riserverà continuando a fare politica.