RIMINI- “Coltivo questa speranza. Che il Beato Rosario Livatino possa anche essere proclamato patrono dei magistrati. Io penso questo sia un segnale che possa sicuramente essere motivo di onore tanto per i credenti quanto per i non credenti. Perché Rosario Livatino potremmo dire che ci ha insegnato come amare la Giustizia è come essere giusti per amore, grazie”. Il Procuratore della Repubblica di Avellino e vicepresidente del Centro Studi Livatino Domenico Airoma ha chiuso così il suo intervento al dibattito organizzato al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione dedicato proprio alla figura del Beato Rosario Livatino. Senza mai fare riferimento specifico, quella di Airoma e’ anche una risposta ai dubbi sollevati sulla laicità della Magistratura rispetto alla petizione avviata dal Centro Studi da qualche mese. Laicità che spesso diventa un alibi, come ha ricordato il magistrato nel suo intervento. Una battaglia che il capo dei pm avellinesi dunque ha deciso di portare avanti. Dall’applauso tributato dalla platea del Meeting si potrebbe dire anche con un largo appoggio. Un discorso, il suo ultimo passaggio, legato alla speranza che rappresenta la figura del Beato Rosario Livatino: “Ancora è da ultimo. Livatino e’ anche grande ragione di speranza. Perché significa che la provvidenza è all’opera, non dobbiamo disperare. Ecco nulla è mai scritto in maniera ineluttabile. Se da Canicattì questo piccolo giudice è diventato un fenomeno e tutte le mostre in tutte le parti d’Italia hanno un successo straordinario, pensate per merito degli organizzatori? Forse. In realtà soprattutto per merito suo. Solo un cieco non vedrebbe qualcosa di davvero profondo e misterioso in quello che sta accadendo”. Il tema dell’incontro in cui il magistrato ha rappresentato ufficialmente per la prima volta il Centro Studi Livatino era “Dagli uomini di onore agli uomini di amore”. Importante la testimonianza di Valerio Montalbano, figlio di Giuseppe Montalbano, medico di Camporeale, ucciso il 18 novembre 1988 su ordine di Giovanni Brusca, che ha raccontato quel giorno e soprattutto cosa è accaduto dopo. Quella di Domenico Pace, detenuto presso il carcere di Sulmona e del suo percorso di fede dopo il gravissimo omicidio compiuto. Lia Sava, procuratore generale Corte d’Appello di Palermo, che ha invitato a non sottovalutare la capacita’ di inabissamento della mafia, evitando di gridare alla vittoria contro le organizzazion criminali. Infine Paolo Tosoni, avvocato penalista. Intervento conclusivo di Fabio Pinelli, vicepresidente Consiglio superiore della Magistratura. Tutti introdotti da Salvatore Taormina, Redazione Culturale del Meeting per l’amicizia fra i popoli.
AIROMA: LA CAMICIA DI LIVATINO CI INDICA DI ESSERE GIUSTI
La camicia insanguinata di Rosario Livatino fornisce una serie di insegnamenti, in primis ai magistrati. Quello di essere giusti prima ancora di fare Giustizia. Rispettando la dignita’, senza un buonismo a prescindere. “Buongiorno a tutti- ha esordito Airoma- Io davvero vi ringrazio per questo invito, posso dire di essere oramai quasi di casa qui al Meeting. Allora, trovandomi a casa, vi chiedo una cortesia. Ecco, di fare una composizione di un luogo. Immaginate qui davanti a noi, davanti a voi, la camicia insanguinata del beato Livatino, che è un po’ la reliquia per eccellenza. Io ricordo ancora quando venni qui, due anni fa a inaugurare la mostra i volti delle persone dinanzi a quella camicia, quello che mi colpi in qualche modo una sorta di reincantamento dinanzi a qualcosa di dirompente, di provocatorio, ma anche con tanta speranza. Allora provo a fare con voi qualche brevissima riflessione dinanzi a questa camicia o almeno a provare a trasferirvi, quali sono state le mie impressioni e sensazioni dinanzi a quella camicia insanguinata. Cos’è una camicia? Potremmo dire che l’indumento essenziale per eccellenza. Allora la camicia forse ci riporta appunto a questo, all’essenziale che il tema del vostro incontro. E ci chiede, mi chiede ma qual è l’essenziale ? In cosa consiste l’essenziale per un magistrato,per un giudice? Non certamente la ricerca della carriera o del potere, o dell’affermazione di una qualche ideologia. L’essenziale e’ rendere giustizia, cioè dare a ciascuno il suo. Ciò che spetta ad ognuno in realtà, che cosa ci spetta per definizione: la dignità. Quella che nessuno può toglierci. Quella camicia e l’essenziale. Ma un essenziale potremmo dire quotidiano perché dobbiamo indossarla ogni giorno e allora anche questo è un altro insegnamento. In realtà, noi siamo chiamati non tanto a fare giustizia, la sfida grande è quella di cercare di essere giusti, che è una cosa molto diversa. Quotidianamente significa provare a coniugare, in questo quella camicia ci dice tanto, il nostro impegno professionale nelle aule di udienza con quello della nostra vita privata, non sono ambiti separabili. Questo insegnamento che ci da’quella camicia. Ma ancora, perché checche’ se ne dica nessuno è nato con la camicia. Ecco qui dobbiamo in qualche modo indossarla, Quella camicia è anche una scelta. Ci dice che noi dobbiamo scegliere, dobbiamo scegliere si. Qualunque ruolo e qualunque posto ricopriamo ciascuno di noi deve fare delle scelte. Io vengo da un quartiere popolare di Napoli e ahimè alcuni di quei ragazzi con i quali giocavo a pallone me li sue ritrovati nelle aule di udienza, nella gabbia dei detenuti. Ho particolari meriti? No. Se non quello magari di aver trovato le persone che mi hanno aiutato a scegliere. E anche questo scrive il beato Rosario Livatino. Scegliere e decidere fra più cose alternative o soluzioni e aggiunge che per scegliere occorre la luce. Nessun uomo e’ luce assoluta, nessun uomo e’ luce a se stesso. Questa frase dovremmo scriverla nelle aule di udienza, ma non dietro, bensi’davanti. Per poterla ogni giorno, quotidianamente, leggerla. E poi Perdonatemi quella camicia, ricorda anche un po’ quella che abbiamo ricevuto al momento del battesimo. Allora quella camicia nel caso di Livatino ci indica anche una cosa molto seria, che forse anche la ragione di quello stupore, cioè la santità. Scrive Davide Rondoni, nella poesia che ci ha regalato e abbiamo pubblicato in esordio del testo che abbiamo scritto su Rosario Livatino, che la santità è scandalo per la Giustizia. Sì, e’ scandalo per la giustizia, perché la santità ci invita a dare oltre alla logica della mera corrispettività, quella del “do ut des”. Ma andare oltre, provare a trovare, ricercare, capire che la persona che stai giudicando c’è un uomo come te: “nihil humanum a me alieno puto”. Se riflettessimo davvero su queste parole comprenderemmo anche come in realtà l’onore non è qualcosa di diverso dall’amore, anzi che l’onore dell’uomo sta proprio nel fatto di essere amato, che noi siamo chiamati ad amare. Anche quando sbaglia. Questo non significa buonismo, ma significa apprezzarlo nella sua umanità”.
LA DIMENSIONE VERTICALE NEL RENDERE GIUSTIZIA NON E’ CONCETTO CONFESSIONALE
C’e’ una dimensione verticale nel fare giustizia nell’insegnamento di Rosario Livatino, che non deve essere confuso come un fatto meramente “confessionale” ma puo’ valere sia per i laici che per i cattolici: “Perdonatemi se vi dico anche un’altra cosa che dà sempre in qualche modo è un motivo di attrazione rispetto a questa figura che tanto ha cambiato nella mia vita. ci ricorda che tutti siamo chiamati ad una dimensione verticale, certo anche il rendere giustizia, perché no, perché questa dimensione dovrebbe essere in qualche modo incompatibile la dimensione laica del rendere giustizia: per quale ragione? Infatti lo scriverà in cosa consiste questa dimensione verticale: nel cercare di comprendere nel trovare il rapporto con il trascendente attraverso la persona che siamo chiamati a giudicare. Ma questo non è un richiamo confessionale, perché aggiungerà: il magistrato non credente sostituirà il riferimento al trascendente con quello al bene comune. Ma entrambi credenti o non credenti non smarriranno mai questa dimensione verticale e spirituale del rendere giustizia, questo spendersi per il prossimo. In questo è l’onore. In questo onore, amore, possono combaciare e coincidere. C’è una canzone che impazza da Sanremo in poi, cantata da Geolier che e’ l’Inno alla indifferenza: I pe me tu pe te. No, la logica esattamente inversa quella di Livatino: i pe te, tu pe me. Questo significa appunto vedere le cose in ottica completamente diversa. In questo scandalosa quella camicia, per tutti, anche soprattutto per noi magistrati che spesso facciamo della laicità purtroppo un alibi per dimenticare questa dimensione verticale”