ROMA- “Abbiamo iniziato in Cassazione, la raccolta delle firme perché Rosario Livatino possa essere proclamato patrono dei magistrati”. Non un punto di arrivo ma certamente qualcosa di impensabile per Domenico Airoma, quando alla fine degli anni 90 aveva iniziato ad occuparsi della figura di Rosario Livatino, che ha avviato l’iniziativa che riguardera’ tutti gli uffici giudiziari italiani, dove saranno chieste le adesioni all’iniziativa.
“Un incontro spirituale che ha cambiato molto della mia vita”. Così il Procuratore della Repubblica di Avellino ha raccontato nella sala Nassiriya del Senato il suo “incontro” con Rosario Livatino, quello che come da anni ricorda il magistrato alla guida dell’ufficio inquirente irpino non è stato un incontro diretto, Airoma non ha mai conosciuto il giudice ucciso dai killer della Stidda mentre da Canicattì viaggiava verso il suo ufficio ad Agrigento.
Ma è avvenuto per caso portando ora ad un epilogo che mai sarebbe stato immaginato. “Mi sono imbattuto per caso- ha spiegato Airoma- ma che cosa accade a caso nella vita degli uomini, quando alla fine degli anni 90 dirigevo un periodico, per fortuna sconosciuto ai più come è giusto che sia, decisi di dedicare un approfondimento ai magistrati che avevano sacrificato la loro vita. Decisi di partire per caso proprio da Rosario Livatino. Perché?
Perché mi colpiva il fatto che di Livatino nessuno parlasse. Persino i giornali dell’epoca non facevano il suo nome. Ricordo un titolo: assassinato giudice di Canicatti’. Ignoto, sconosciuto. Feci una breve ricerca, all’epoca non esisteva google e scoprii che non aveva mai rilasciato una dichiarazione o partecipato ad una conferenza stampa. Mi chiesi: ma che razza di magistrato e’ questo. Scrissi ai genitori, all’epoca era in vita soltanto il papà e mi ricordo che ricevetti un biglietto con una scrittura di una mano non troppo ferma che mi ringraziava per l’attenzione dedicata al figlio.
Cosi nasce la mia personale indagine su Rosario Livatino. Indagine. Le faccio per mestiere da pubblico ministero. E come ogni indagine che si rispetti, non quelle formate a tavolino o basate su un pregiudizio, ci si reca sul posto. E andai a Canicattì. Era fine anni 90. Pensate che in quel momento l’entroterra della Sicilia, la provincia della Sicilia sembrava uscito da un romanzo di Sciascia. Quella sembrava l’ambientazione. Non Palermo o Catania. Attenzione, è necessario contestualizzare, perché altrimenti lo trasformiamo in un santino. Questa sarebbe la cosa peggiore”. Airoma ha anche raccontato quella visita.
Mi chiesi: ma dove abitava Livatino? Non è che fui accolto da grande disponibilità, anzi qualcuno mi chiese: ma cu vuoi?. Poi mi indicarono la sua casa, il palazzo dove abitava e soprattutto iniziai a capire con chi abitava. Al piano di sopra viveva un capomafia locale. Viveteci con chi scende alla mattina e dice alla mamma: signora, faccia curare suo figlio che ha una brutta tosse.. Quello era un tempo in cui in Sicilia i morti ammazzati si contavano a decine a settimana. pensate che in questo contesto Livatino prende questa decisione e la sceglie come una vocazione. La vocazione è il primo elemento, di scontro. Perché come dice nella poesia che ci ha donato Davide Rondoni e apre il libro ci dice: la santità e’ scandalo. La chiamata, la vocazione hanno una caratteristica incarnata.
Il tempo in cui uno si trova, la necessità di comprendere di cosa abbia bisogno il prossimo. Livatino ha compreso che in quel contesto lui era chiamato a ridare dignità alla sua comunità. E questa consapevolezza la matura sin dai banchi del liceo. I professori del Liceo che ho ascoltato, mi hanno riferito proprio di questa sua passione per la Giustizia. Questo suo scavare sempre a fondo alla ricerca del vero. Non poteva sopportare le angherie dei mafiosi.
Aveva dinanzi a lui una scelta: quella di fare l’avvocato, anche il magistrato ma senza andare in fondo. Perché si può decidere di restare o limitarsi alla superficie, scegliendo di essere preparato e tecnicamente apprezzato, scalare i vertici della carriera. Oppure dare un senso, profondo, a quello per cui ti ritieni preparato, chiamato”. rosario Livatino era un appassionato di film, quando sono andato a casa sua aveva tante videocassette, che lui vedeva e commentava. Per esempio non gli era piaciuto Guerre Stellari. Parlo dei film perché non so chi di voi ha visto “Momenti di gloria”. C’è un attore che corre e dice: quando corro sono contento, perché so che Dio e’ felice.
Perché sto realizzando quello per cui mi ha creato. Questo significava per Livatino rendere giustizia. Quando entra in magistratura scrive nella sua agenda, che ho letto ed è straordinaria, da cui esce una situazione di conflitto drammatico. Ha avuto anche un momento conflittuale. Ma è anche normale che sia così. Non ho mai creduto alle storie alla Mulino Bianco. Non ci credo. Allora lui scrive nella sua agenda con inchiostro rosso, cosa che non accade per caso: oggi ho prestato giuramento, spero di essere all’altezza di questo delicato compito e dell’educazione che mi hanno trasmesso i miei genitori”. E ha quindi ricordato come: se per lui rendere giustizia era una risposta alla chiamata, non l’avrebbe tradita per niente e per nessuno, anche quando il pericolo per la sua vita era concreto, ci sono rapporti giudiziari che descrivono non in modo ipotetico ma concreto, il pericolo che correva. Lui poteva andare via? certo, chi glielo avrebbe impedito. Rimane al suo posto.
E come ogni mattina anche in quel tardo settembre del 1990, lui saluta i suoi genitori, a cui è molto legato. A bordo della sua Ford Fiesta Amaranto si toglie la giacca, la appende al lato e si avvia verso Agrigento. Quella superstrada dove verrà poi affiancato e assassinato. Ma solo chi ha concepito la sua vita in questo modo, come un martirio quotidiano. Pensate all’usque ad effusionem sanguinisuŕ. Il martirio sta in quell’usque. Ovvero essere capace di resistere ogni giorno alle sollecitazioni, in quel contesto. Allora chiediamoci, me lo sono chiesto spesso: dove sta la nostra Canicattì? Perché ognuno di noi ha la sua Canicatti’.
Per cui se capiamo dove sta, possiamo comprendere che tipo di chiamata e anche la risposta che cerchiamo”. Dal racconto di tanti testimoni Airoma ha messo in evidenza che emerge una vita ordinaria, che però come ci ha tenuto a sottolineare, si è trasformata in qualcosa di straordinario, visto che ogni giorno e’ riuscito a mantenere fede alla sua chiamata”.
E ricordando le parole dello stesso Livatino in una delle due sole conferenze a cui aveva partecipato ha continuato: “Rendere giustizia e’ dedizione di sé a Dio: e’ preghiera. Il magistrato credente troverà questo rapporto trascendente attraverso la persona chiamata a giudicare. Il magistrato non credente sostituirà il rapporto con il trascendente con quello per il bene comune. Entrambi i magistrati però non potranno prescindere dal senso e dalla dimensione spirituale del rendere giustizia. Perché esiste. In particolare per comprendere a fondo perché si fa una cosa. Per questo motivo di fronte alla camicia insanguinata di Livatino anche per tanti ce stato un momento di reincantamento.
La scoperta di una dimensione verticale. Questo è il successo di Rosario Livatino anche tra i giovani. Livatino da questo aspetto rappresenta un “grande segno di speranza per il nostro tempo”. Lo è stato sempre, fin dal principio. Pensate che proprio per la morte di Livatino c’è il primo testimone di giustizia in Italia, un agente di commercio di Lecco, che nessuno avrebbe mai saputo presente nei pressi del luogo dove fu inseguito e ucciso il giudice me che testimoniò anche contro i killer”. L’incontro su iniziativa della senatrice di Fratelli d’Italia, Giovanna Petrenga, la presentazione del libro “Un giudice come Dio comanda, la toga e il martirio”, edito da Il Timone.
“Nel libro si rispecchia il profilo umano e professionale di Livatino che si è caratterizzato per la sua visione cristiana di operatore di giustizia – ha osservato la parlamentare”. “Per capire la figura del giudice Rosario Livatino e poi la sua beatificazione – ha sottolineato mons. Vincenzo Paglia – bisogna collocarla nel contesto in cui è vissuto. Egli fa parte a pieno titolo dei nuovi martiri ed è stato un eroe che non è mai uscito dalla comunità dei credenti dando la sua vita per difendere la dignità di tutti noi”. “Livatino è stato un chiarissimo esempio di come si possa attraversare la vita ed essere liberi – ha aggiunto l’avvocato Maria Orlando. La sua straordinarietà consiste nell’essere rimasto sempre una persona normale. Per lui nella giustizia si rivela Dio”.