Il presepe arcobaleno di don Vitaliano della Sala: due madonne vegliano Gesù

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La recente decisione di don Vitaliano Della Sala di creare un presepe “arcobaleno” nella chiesa dei santi Pietro e Paolo a Capocastello di Mercogliano ha suscitato un acceso dibattito. La sua scelta di rappresentare Gesù come figlio di due donne, eliminando la figura di San Giuseppe per affiancare alla Madonna un’altra mamma, ha generato varie reazioni.

Il parroco, non nuovo a iniziative simili, ha voluto interpretare il presepe come un segno di vicinanza e di inclusione verso la realtà Lgbtqi+. Don Della Sala ha sottolineato che la sua scelta non è stata una provocazione, bensì un modo per esprimere la volontà di avvicinare la chiesa alle diverse forme di famiglia presenti nella società. Ha inoltre affermato che il presepe “arcobaleno” rappresenta una dichiarazione di sostegno e accettazione nei confronti della comunità Lgbtqi+, spesso emarginata o non pienamente accettata all’interno degli ambienti religiosi.

DI SEGUITO IL MESSAGGIO DEL PARROCO:

Una famiglia? Tanti modi di essere famiglia: “nulla è impossibile a Dio”! Come scriveva Tagore, “Qualcuno rovesciò il calamaio sulla tela; ora si vanta: ho dipinto la notte!”.

Il disprezzo, talvolta espresso anche da settori della Chiesa cattolica, contro le “famiglie arcobaleno” e la loro condanna categorica, senza un dibattito serio e onesto, rappresenta un’ombra che contribuisce a dipingere la notte del nostro tempo. Quest’anno, nel presepe, ci sono due mamme: la luce del Natale splende anche su queste famiglie, spesso criticate e condannate in modo disumano e contraddittorio rispetto all’evangelizzazione.

Ogni anno, il Natale ci ricorda l’intenzione di Dio di ripartire dai margini, dai confini che non sono solo geografici, ma dove persone, lingue, religioni e culture si mescolano in una nuova e variegata Babele. Dopo Betlemme, la fuga in Egitto e il ritorno, Giuseppe con la sua famiglia “si ritirò in Galilea” (Matteo 2, 22).

La Galilea è un luogo considerato quasi estraneo ad Israele, non è ancora un territorio straniero: è un’area in cui le razze si mescolano e la fusione tra culture e religioni diventa realtà; è il luogo delle sfumature, dove la purezza del Popolo di Dio si mescola con la diversità dei popoli pagani circostanti.

Per molti israeliti devoti, la Galilea è considerata terra di eretici ed esclusi. L’esclusione ha lasciato una scia di sangue e dolore nella storia. Oggi, attorno all’esclusione, si gioca gran parte della dignitosa sopravvivenza di miliardi di esseri umani. Con l’egemonia dell’economia, abbiamo costruito una società che sopravvive escludendo, respingendo ai margini o in mare.

Ma l’esclusione non si manifesta solo nella società civile, a volte anche la Chiesa pratica l’esclusione, relegando ai margini autentici testimoni di Gesù Cristo che urtano il potere, che aprono nuove strade, quelle strade in cui si muovono subito gli ultimi, i poveri di Dio, mentre si scandalizzano i benpensanti.

L’inclusività è il futuro della Chiesa: una Chiesa che non emargina, che non giudica pesantemente nessuno, ma una «Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione» (mons. J. Gaillot), capace di accogliere e riunire tutti.

La liberazione operata da Gesù inizia proprio dalla Galilea, metafora di ogni esclusione sociale e religiosa. Dio preferisce la periferia al “centro”, simbolo del potere. Gesù preferisce l’indefinitezza dei confini alla staticità del tempio, e la dinamicità della riva del lago di Galilea agli schemi definiti.

Per capirlo non servono dogmi rigidi e indiscutibili, né teologie pretenziose e rigide, ma la sottigliezza, l’irrequietezza e l’imprevedibilità dell’amore.

La Galilea “è una terra e un popolo aperto alle nazioni dei dintorni. Le frontiere si incrociano dando luogo all’inclusione del diverso in molteplici miscugli” (Omelia di mons. Romero, 4 marzo 1979).

Questo è il Regno che Dio sogna per noi, che vuole regalarci, che in Gesù si è fatto vicino, a portata di mano. Un Regno in cui nessuno è escluso e ciascuno ha diritto di cittadinanza. Un Regno che non coincide con i regni terreni, ma che capovolge la nostra concezione del potere. Un Regno senza confini stabiliti, dove la croce si trasforma in resurrezione, la morte in vita; dove i poveri sono beati. Un Regno in cui il primo è l’ultimo, in cui il padrone serve, in cui l’Onnipotente diventa Onnidebole.

Auguro a tutti un Buon Natale e vi do il benvenuto in Galilea!”

Questo è un testo più chiaro e corretto, spero possa esserti utile!