Giornata della depressione: anche ad Avellino si propone l’arte per tornare in vita

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Guarire praticando l’arte: è questo il tema che quest’anno, per la quattordicesima edizione della Giornata Europea della Depressione, si è scelto di approfondire. Con lo scopo di fornire un’informazione corretta sulla natura della malattia depressiva e dei disturbi dell’umore, presso la Casa di cura “Villa dei Pini” di Avellino si è parlato de “Il mondo della Bellezza: Depressione – Arte – Vita”; di come si possa guarire con un percorso terapeutico integrato, che preveda, oltre all’approccio farmacologico, quello psicoterapeutico; di come l’arte possa rappresentare una via d’uscita.

L’incontro, organizzato dal dott. Francesco Franza e dalla dott.essa Mariangela Acernese, è stato l’occasione per illustrare, alla presenza di medici e pazienti, come la musica, la danza, la lettura, la scrittura siano vere e proprie opportunità, antidoti di una guarigione possibile, alternative al vuoto esistenziale che l’esperienza depressiva comporta. Perché l’espressione creativa è una forma di comunicazione efficacissima, che ripristina il dialogo e la relazione anche in assenza di parole; si arriva alla comprensione e alla condivisione degli stati interiori più profondi, si instaura una relazione empatica autentica, che ha già di per sé un effetto terapeutico.

È risaputo che molto spesso chi è affetto da patologie depressive e disturbi psichici ha difficoltà ad esprimere la propria sofferenza, la parola diventa un fardello troppo pesante da gestire ed è per questo necessario sperimentare una nuova forma di comunicazione, che metta al centro non il sintomo né la patologia, ma la persona con i punti di forza, le risorse, gli interessi, i desideri che le appartengono.

In questo senso, molto può fare la musicoterapia: nel corso del convegno sono stati presentati due progetti validi a dimostrare come l’espressione abbia possibilità creative in grado di raccontare il mondo emozionale che non sa parlare. Il primo progetto è quello con Antonio Marotta, artista, musicista, cantautore impegnato anche a teatro. Antonio e la sua fidanzata Alessandra Ruggiero, anche lei musicista, regalano un esempio di vita straordinario, per la capacità di gestire la sofferenza in maniera diversa, con l’amore, con la forza dei rapporti autentici. Antonio ha una mamma affetta da problemi psichici gravi, che l’hanno portata più volte ad essere ospedalizzata, finché grazie a suo figlio ha potuto trovare un equilibrio casalingo da cui poter trarre il meglio che potesse. Insieme hanno costruito un progetto, “Pezzi fatti in casa”, che attinge dalla vita quotidiana e di cui Annamaria e Antonio sono i protagonisti assoluti.

«Sono stato costretto a farmi forza fin da piccolo – racconta Antonio – a convivere con questa malattia, cercando di cogliere quanto c’è di positivo e usando il problema come una risorsa. Tra la musica e il teatro, a un certo punto ho deciso di occuparmi principalmente di mia madre che, ricoverata per nove anni in una struttura psichiatrica, non è mai riuscita a seguire nessun piano terapeutico. Abbiamo puntato su “Casa Marotta”, ci raccontiamo e, se prima traevo ispirazione da ciò che vedevo all’esterno, ho imparato ad osservare quello che c’è dentro casa, a usare il suo linguaggio, il nostro linguaggio fatto di metafore e formule di manipolazione, per creare un repertorio nuovo, che è, oggi, la fonte privilegiata del mio lavoro».

«Con questo progetto – continua Antonio – speriamo di dare voce alle tante persone che assistono, a quelli che stanno intorno e si portano dietro il peso di una diversità che si sente forte. Non possiamo fare altro che cogliere il lato positivo, cercare un percorso che si faccia strada tra i problemi».

L’altro progetto è il laboratorio di Drum Circle che, curato da Pasqualino Caruso, impegna i pazienti nel creare arrangiamenti con tamburi e percussioni, favorendo la condivisione delle emozioni e stabilendo, soprattutto, un’atmosfera di complicità. «Bisogna aiutare queste persone a farsi comprendere – afferma Caruso -, bisogna condividere, trovare una chiave di accesso per poter intervenire e la comunicazione non verbale attraverso gli strumenti riesce ad arrivare dove altre terapie non arrivano».