VALLO LAURO- Un’altro presunto “furbetto del reddito” salvato dal difetto di giurisdizione nel giudizio davanti alla Corte dei Conti. Si tratta di una trentasettenne del Vallo di Lauro per cui la Procura Regionale aveva chiesto il giudizio dinanzi alla Sezione Giurisdizionale per ottenere la condanna al pagamento, in favore dell’INPS, della somma di euro 15.156,54, oltre rivalutazione, interessi e spese di giustizia.La vicenda era partita dalla nota , con cui il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino aveva notiziato la Procura contabile in ordine ad una fattispecie di indebita percezione del reddito di cittadinanza oggetto di un procedimento penale. Nello specifico, era emerso che la trentasettenne, nella dichiarazione sostitutiva unica propedeutica all’accesso ai benefici reddituali, presentata in data 8.4.2019, aveva omesso di indicare nel quadro “FC3 – patrimonio immobiliare” una serie di beni siti in Italia. Per cui secondo la Procura contabile avrebbe violato l’art. 2, comma 1, lett. b, d.l. n. 4/2019, all’epoca vigente, secondo cui: “con riferimento a requisiti reddituali e patrimoniali, il nucleo familiare deve possedere: 1) un valore dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, inferiore a 9.360 euro”. Il 15 aprile 2019, l’interessata presentava apposita domanda alla cui approvazione seguiva la corresponsione di una rata mensile pari ad euro 898,88 con decorrenza da maggio 2019 a gennaio 2020 e, successivamente, della somma mensile di euro 758,18 da febbraio 2020 ad ottobre 2020, per un importo complessivo percepito e non restituito pari ad euro 15.156,54 che il requirente contestava a titolo di pregiudizio erariale. La domanda a cui per primo i giudici tributari hanno valutato di dover procedere o meno e’ relativa alla sussistenza di un rapporto di servizio tra l’Amministrazione danneggiata e l’autore dell’illecito quale presupposto della formulata azione di responsabilità ritenuta ascrivibile alla giurisdizione contabile. Per cui viene indicato un perimetro, per cui i contributi di scopo, si legge nella sentenza: “devono essere tenuti distinti i meri sussidi, cioè le erogazioni di pubblico denaro con finalità solidaristico-assistenziale che, a differenza dei primi, non implicano alcuna attività amministrativa di gestione di denaro pubblico, limitandosi a prescrivere requisiti e obblighi che, se carenti e/o disattesi, comportano la decadenza dal beneficio, con legittimazione dell’Amministrazione erogante ad agire per il loro recupero innanzi al Giudice ordinario ai sensi dell’art. 2033 c.c”. aggiungendo anche che, come fatto anche dalla Giurisprudenza prevalente in questi casi: “inquadrando il reddito di cittadinanza nella categoria dei meri sussidi, le richiamate pronunce ne hanno evidenziato la natura sociale di misura di solidarietà volta ad assicurare a persone indigenti una minima fonte di sostentamento economico, senza imporre alcuna attività gestoria o assunzione di compiti e attività amministrative direttamente riconducibili alla voluntas del percipiente”. Per cui il Collegio ha concluso per la valutazione che: “il reddito di cittadinanza non conferisca al beneficiario la gestione di risorse secondo finalità pubbliche, risultando costui un mero destinatario di risorse di provenienza pubblica prive di vincolo di destinazione erogate nell’ambito di quelle forme di assistenza ai ceti più deboli, anche ai sensi dell’art. 38 della Costituzione”. Per cui nessun danno erariale ma una competenza del giudice civile.
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