“Sono solo una prostituta musicale”. Il ricordo di Freddie Mercury a 24 anni dalla sua morte

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“Quelli che fanno le classifiche dei più grandi frontmen del rock e assegnano le prime posizioni a Mick Jagger, Robert Plant e altri sono colpevoli di una terribile dimenticanza. Freddie, come dimostrato dalla sua performance dionisiaca al Live Aid, è senza dubbio il più divino tra tutti loro”. (John Harris)

“Sono solo una prostituta musicale”. (Freddie Mercury)

Era il 24 Novembre 1991 quando Freddie Mercury passò a miglior vita dopo aver tenuto nascosta per anni la sua malattia. Di fatto fu la prima vittima celebre dell’Aids e lasciò milioni di fan stravolti dal dolore per quello che è stato il leader carismatico di un movimento musicale oltre che di un gruppo, i Queen, la band che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 fu la più amata da intere generazioni. Bohemian Rhapsody, Crazy Little Thing Called Love, Don’t Stop Me Now, It’s a Hard Life, Killer Queen, Love of My Life, Play the Game, Somebody to Love, We Are the Champions e tanti altri straordinari capolavori non rendono esplicitamente la grandezza di quello che fu uno dei pochi grandi trascinatori delle folle da stadio.

Quel pugno chiuso lanciato verso l’alto come a voler dire “io sono qui, seguitemi”. Quei vocalizzi che il pubblico imitava come se fossero l’ode da rivolgere al più antico e sacro degli dei.

Freddie Mercury era questo: i grandi palcoscenici lo entusiasmavano e lui li dominava. Basta tirare in ballo l’esibizione dei Queen al Live Aid del 1985 dove Mercury, nel giro di un set brevissimo, annichilì e rese inutile la salita sul palco di tanti illustri colleghi.

In suo onore, il 20 aprile 1992 fu organizzato il Freddie Mercury Tribute Concert, al quale parteciparono molti artisti musicali internazionali; i proventi dell’evento furono utilizzati per fondare The Mercury Phoenix Trust, organizzazione impegnata nella lotta all’HIV, il virus alla base della sindrome da immunodeficienza acquisita.

Freddie Mercury è considerato uno dei più grandi e influenti artisti nella storia del rock; nel 2008 la rivista statunitense Rolling Stone lo classificò 18º nella classifica dei migliori cento cantanti di tutti i tempi. Dal mio punto di vista rientra a tutto tondo nei primi cinque. La sua voce era sensazionale, il suo carisma sul palco indimenticabile.

Chi ha avuto la sfortuna di non vederlo dal vivo (ed io, rientro, tra questi) credo provi un solo sentimento nei confronti di chi era lì ad adularlo e a cantare con lui: sana invidia.

Nonostante la sua voce naturale, nel parlato, fosse di tipo baritonale, Freddie Mercury cantava come tenore leggero; tuttavia, nel corso degli anni il fumo conferì alla sua voce un’intensità e una potenza di timbro più vicine a quelle di un tenore lirico. Il biografo David Bret ha detto che la sua voce era in grado di compiere “scale musicali in poche battute, passando da un ruggito rock gutturale ad un acuto puro e cristallino, una coloratura perfetta”.

Il suo stile ha influenzato un’intera generazione di artisti, ma Freddie rientra a pieno titolo nella ristretta cerchia degli ineguagliabili.

“Non penso che dimenticheremo mai il giorno che Freddie ci disse della malattia. Ce ne andammo via da qualche parte con la morte nel cuore.” (Brian May)

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