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FOTO/ “Rotolando verso Sud”: prima tappa a Trevico e Castel Baronia

Di Gustavo Adolfo Nobile Mattei.

Primo appuntamento della nuova rubrica settimanale di Irpinianews dal titolo “Rotolando verso Sud“. Ogni settimana una tappa del viaggio che ci condurrà in luoghi sconosciuti o poco conosciuti della nostra Regione e di quelle confinanti.

Un modo affascinante per scoprire o riscoprire terre del Sud dai sapori antichi, borghi imperdibili, itinerari da favola. Per la prima puntata del nostro viaggio tappa a Trevico e Castel Baronia.

“Arriviamo a Trevico alle quattro passate. 1079 metri: il comune più alto della Campania, ci hanno detto. La vista non tradisce: un balcone mozzafiato, sospeso tra l’Irpinia e la Capitanata. Gli occhi si perdono tra colline boscose e pale eoliche. Ma noi siamo qui, più in alto di tutto. La luce è abbagliante: ci trafigge gli occhi.

Arrivare è stata un’impresa. Una volta penentrati nella Baronia, nessuno conosceva più la strada e la mia vecchia cartina si faceva sempre più incomprensibile. Una stradina maledettamente in salita, le nostre macchine faticano a scalarla. Un falco vola superbo su di noi, la natura si fa sempre più selvaggia, maestosa, profonda. Sentiamo di essere altrove.

Alla fine, ci perdiamo. Qualche mugugno proviene dai sediolini posteriori; decido di fermare la prima macchina che passa e domandare soccorso. Fortuna che conosciamo gente ovunque. Un volto noto: “Gustavo!! Che ci fai da queste parti?”. Siamo salvi: ci scortano per un lungo tratto di strada, sempre più irta, sempre più verde. Un lago compare di lontano. Mi dicono si chiami Diga Macchioni.

Ed eccoci a Trevico, l’antica capitale della Baronia. Un silenzio irreale ci avvolge: quante persone vivono quassù? Il vento è fortissimo: ci ripariamo nei cappotti, ma la nostra marcia è appena iniziata. C’è da esplorare un dedalo di vicoletti, che s’intrecciano tra palazzetti antichi e portali in pietra. C’intrufoliamo nella Casa della paesologia, il covo di Franco Armino. L’idea è geniale, ma i turisti dove sono? C’è ancora un futuro per le nostre terre desolate? Spero di sì, nonostante tutto.

Passa solo una volante dei carabinieri, quella non manca mai. E poi si entra in chiesa: o meglio, in quella che fu una Cattedrale. Perché qui, per sette secoli, c’è stato persino un vescovo. Delle antiche glorie resta poco, e i ruderi malandati del Castello sono lì a dimostrare l’ingratitudine del tempo.

Il giro continua, per strada ancora nessuno. Un profumo di forno ci cattura: tre ragazzi in una bottega hanno appena sfornato delle zeppole calde. Le divoriamo mentre una signora entra e ci guarda perplessi: “E mo questi… a chi appartengono?”. Ci vorrebbe un caffè, ma ci informano che l’unico bar del paese apre alle sei, forse: quando gli anziani si riuniscono per il tressette.

Ripartiamo per Castel Baronia. Finalmente un bar aperto e un po’ di gente indaffarata: stanno organizzando un falò per San Giuseppe. Più in là, il Santuario di Santa Maria delle Fratte. La sua storia è avvolta da un manto di leggenda. Un pastore aveva smarrito il suo toro: lo ritrovò in una grotta, inginocchiato al cospetto della sacra immagine. Correva l’anno 1137. Giusto 680 anni dopo, nel palazzo accanto, nascerà Pasquale Stanislao Mancini: uno dei più insigni giuristi della Storia italiana, protagonista dell’unità nazionale. I suoi compaesani, giustamente, ne vanno orgogliosi.

Il paese ci accoglie sul far della sera. Un gruppetto di bambini gioca rumorosamente vicino alle giostre. Chiediamo informazioni e l’unico maschietto ci travolge con parole a raffica. È felice di poterci aiutare, come anche gli anziani che c’invitano a rimanere per la festa. Qui il tempo scorre lento, si percepisce ancora la dimensione dell’accoglienza.

In fondo alla piazza, un bagliore. Ci dirigiamo all’estremità del paese, rapiti dalle tonalità del cielo che, d’improvviso, si è fatto scarlatto. È un tripudio di colore, questo tramonto che incendia le montagne dell’Irpinia. Non una parola, solo emozioni che restano lì, strozzate in gola. Un giorno, ritorneremo.”

 

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